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E' uscito recentemente, presso la casa editrice IntraMoenia di Napoli, un mio volumetto dal titolo La cucina di Addolorata, con prefazione di Alberto Castellano.
Paul Schrader ha occupato una posizione di rilievo nel movimento che fu definito New Hollywood o American New Wave, una fase di profondo rinnovamento del cinema americano che si può datare tra la fine degli anni Sessanta e i primissimi anni Ottanta e che vide coinvolti cineasti del calibro di Martin Scorsese, Brian De Palma, Robert Altman, Steven Spielberg, George Lucas, Francis Ford Coppola, per non citarne che alcuni. Schrader vi apporta, prima come sceneggiatore e poi come regista, il rigore di uno stile educato sul cinema classico soprattutto europeo e al tempo stesso, in apparente contraddizione, il gusto della rivisitazione, talvolta felicemente sperimentale, dei generi, dall'horror al noir al mélo. Soprattutto egli innesta nel corpo del cinema americano storie forti e ruvide, personaggi intrappolati in vicende fatali, sospesi tra colpa e redenzione, in una visione che assume spesso una coloritura mitologica, melvilliana, e perfino teologica. La sua carriera prosegue poi nel costante, strenuo combattimento con le regole e le costrizioni di Hollywood, tra alti e bassi, sempre però sostenuta da una lucida consapevolezza delle proprie scelte.
"Le cinéaste le plus libre qui soit", così lo ha definito Bulle Ogier, una delle sue attrici preferite, in una dichiarazione per Liberation. E Pascal Bonitzer, suo abituale co-sceneggiatore, ha replicato su Le Monde: "Pour ce balzacien, les films étaient constitués comme des complots contre la façon dominante de faire des films." Entrambi i giudizi sono da condividere in pieno.
Céline et Julie vont en bateau
Céline et Julie vont en bateau ingloba, entro la sua struttura “superficiale”, un enorme meccanismo ripetitivo. Due serie di avvenimenti, per lo meno, vi si trovano presi: quelli che hanno luogo dentro e quelli che hanno luogo fuori della “casa”. Se la prima parte del film è all'insegna, come si è detto, di un incontro casuale, la seconda parte si svolge rigorosamente nell'alternanza delle due serie di avvenimenti. Il passaggio dall'una all'altra serie è assicurato da un oggetto allucinogeno. I bonbon o l'intruglio magico. Oggetti derisori e parodici che nel loro “grado zero” manifestano comunque la supremazia del significante nella manovra della catena narrativa. Ma si avrebbe torto a considerare questo movimento come una illustrazione del “defilé” simbolico. Esso in realtà funziona più semplicemente come un gioco, la cui posta è occultata ai soggetti che vi partecipano. Una sorta insomma di analisi spontaneistica e selvaggia, rischiata “al buio”. Lanciando i dadi (succhiando i bonbon), Céline e Julie sono prese nel ritorno del loro rimosso di attrici.
Possiamo interpretare il movimento ripetitivo del film anche come un processo di regressione. Regressione temporale, per via allucinogena, a modelli di rappresentazione (modelli di “jeu”) passati; regressione formale a modi di espressione cosiddetti infantili. Il paradosso (apparente) è che la seconda offre i mezzi per mettere in crisi la prima. Ciò che emerge dunque è la forza del desiderio, linfa vitale che scompagina i modi calcolati e predisposti della rappresentazione (di cui del resto è all'origine). E' la struttura stessa del film – così come prospettata sommariamente più sopra – ad esserne investita.
Tale spazio, lo si vede bene, ingloba la dialettica progetto-alea, predisposizione-improvvisazione (che, per lo meno a partire da L'amour fou, occupa un ruolo importante nel lavoro di Rivette); dialettica che trova qui, ci sembra, il suo superamento. La nozione di alea, o anche di “improvvisazione”, è fondamentale, com'è noto, nel cinema moderno (vedi Noël Burch, Praxis du cinema). Essa segnala, da parte dell'autore, la presa in considerazione, a differenti livelli, della refrattarietà del materiale del cinema. E' un'esigenza questa che nasce, come ha mostrato Burch, dall'interno stesso della specificità cinematografica, perché il cinema, a differenza ad esempio della musica, ha a che fare con la complessità dell'esistente visibile. Ora è proprio in questa prospettiva che il lavoro sull'alea mostra chiaramente i suoi limiti. Esso sembra far capo a un astuzia dell'autore per riuscire a inglobare quanto una pratica cinematografica di grado zero era costretta ad espellere. Ciò che significa, malgrado tutto, un rilancio della funzione demiurgica dell'autore, che si riappropria del materiale così catturato al momento del montaggio. In Céline et Julie vont en bateau la funzione del montaggio (inteso in questo senso) è ancora importante, ma esso regola per così dire uno solo dei livelli del film, quello della strutturazione formale che mai come in questo film si organizza, come si è visto, intorno a una figura “arbitraria”. Questo livello entra il lotta, potremmo dire, con gli altri livelli del film; meglio: si dà soltanto per consentire all'altro che lavora il film di manifestarsi nel suo potere dirompente. In questo modo l'autore si spossessa come soggetto pieno dell'enunciazione e si apparta. Egli è colui che privandosi della parola consente alla scrittura di addivenire. Nel fatto che di questa scrittura si facciano carico, principalmente, due nomi e due corpi femminili, lo spettatore non vi leggerà un caso.
Therese appartiene di diritto a quella che sarà la lunga serie di personaggi più o meno amorali che popolano i romanzi della Highsmith. L'urgenza del desiderio, una volta riconosciuta, non ammette ostacoli. La passione è vissuta senza sensi di colpa, nessuno scrupolo, nessuna concessione alle convenienze sociali. Quando Carol sarà costretta ad abbandonarla perché il marito le impedisce di vedere la figlia, Therese reagirà male, non può ammettere che l'amante abbia potuto preferire la figlia a lei, e allora non vorrà più rivederla. Torna a New York decisa a riprendersi la sua vita. E' il punto culminante di un processo di conquista dell'identità e della maturità sessuale e sentimentale.
Nell'ambito della sua XV edizione, che si svolgerà a Napoli dal 18 al 21 novembre prossimi, il Festival del Cortometraggio 'O Curt rende omaggio a Salvatore Piscicelli con la proiezione di quattro film.