Nell'ambito della sua XV edizione, che si svolgerà a Napoli dal 18 al 21 novembre prossimi, il Festival del Cortometraggio 'O Curt rende omaggio a Salvatore Piscicelli con la proiezione di quattro film.
Un incontro con il regista, moderato da Alberto Castellano, è previsto il 18 novembre alle 20.30 presso l'Istituto Francese di Napoli in Via Crispi, cui farà seguito la proiezione del film Il corpo dell'anima.
Ulteriori notizie sul programma sono reperibili nel sito del festival.
Dal programma del festival:
Il corpo del cinema
di Francesco Napolitano
L'omaggio del nostro festival a Salvatore Piscicelli, tra gli autori più originali e innovativi che il cinema italiano abbia espresso dalla fine degli anni '70, racchiude quattro film che sembrano scandirne al meglio il percorso artistico-espressivo. Si tratta dell'esordio folgorante di Immacolata e Concetta – L'altra gelosia (1979), del successivo Le occasioni di Rosa (1981), di Regina (1987) e de Il corpo dell'anima (1999), questi ultimi due raramente transitati nei circuiti cinetelevisivi e mai pubblicati in home video.
Sono bastati i primi due film, Immacolata e Concetta e Le occasioni di Rosa – ne sono seguiti altri due che completano la cosiddetta tetralogia su Napoli, e cioè Blues Metropolitano (1985) e Baby Gang (1992) -, perché un nuovo sguardo critico su Napoli si spalancasse e un'immagine della città diversa da quella tradizionale, oleografica e stereotipata di tanto cinema precedente, andasse prendendo forma. Da quel momento non sarebbe stato più possibile filmare Napoli, le sue trasformazioni e le sue contraddizioni derivanti dal processo di modernizzazione che negli anni '80 si andava sviluppando, se non con nuove modalità espressive che le avrebbero sapute cogliere nella loro essenza.
Una scelta estetica che si fa etica. Dove la solida cultura cinematografica dell'autore e i suoi gusti cinéphile (il cinema classico americano, il melodramma di Douglas Sirk reinventato da Fassbinder, il cinema di Rosi, la fascinazione per il cinema giapponese e le nouvelles vagues degli anni '70) insieme alla formazione e ai forti interessi di natura filosofica, letteraria e antropologica, gli consentono di praticare “un cinema-sonda dei cambiamenti sociali, conoscendone direttamente il contesto e avendo vissuto da ragazzo il radicale cambiamento della fine della cultura contadina e il processo veloce e distruttivo di urbanizzazione...in cui la criminalità trovò terreno fertile per fare affari...E io volevo raccontare storie sia con empatia sia con giusta distanza, per evidenziare le contraddizioni di quelle frettolose e ambigue modernizzazioni” (si legge in un'intervista del 2012), e lo portano a cercare “una terza via fra stereotipi come film su sceneggiate o teatro, e cinema borghese d'impegno civile; volevo mescolare senza manicheismi alto e basso, popolare commerciale e critica colta”.
Immacolata e Concetta – L'altra gelosia (1979) - lungometraggio d'esordio di Piscicelli (aveva però già realizzato dal '76 al '78 cinque lavori, perlopiù documentari per la televisione), scritto con Carla Apuzzo, che sarà la sceneggiatrice di tutti i suoi film -, e Le Occasioni di Rosa (1981) - successivo a Bestiario Napoletano, serie di ritratti di persone accomunate dalla loro appartenenza alla città partenopea, girati per la neonata terza rete della Rai -, sembrano essere il manifesto di questa poetica.
Nel primo si racconta l'amore tra Immacolata e Concetta che, nato in carcere, continua, non celato, anche al di fuori, a casa della prima, sullo sfondo di una Pomigliano D'Arco ancora immersa nella civiltà contadina, che però comincia a scricchiolare sotto il peso del processo in corso di urbanizzazione. Tra la sfida all'oppressione delle convenzioni sociali e familiari, e l'oscillazione tra il contrasto e il cedimento al potere maschile da parte di Immacolata, si va preparando il dramma che, grazie a un'attenta, originale e talvolta trasgressiva messinscena, si staglierà in tutte le sue implicazioni sociali e politiche, al di là di ogni coinvolgimento emotivo dello spettatore.
Lo scenario invece del secondo film, Le occasioni di Rosa, è la periferia urbana di Napoli (la 167 di Secondigliano), filmata per la prima volta come “un deserto di macerie emotive e culturali” (quelle che dimorano nell'anima dei suoi abitanti), e come elemento centrale della narrazione cinematografica.
Rosa è una giovanissima operaia che vuole abbandonare la fabbrica in cui lavora. Allora si prostituisce , con la complicità del suo fidanzato, a cui a sua volta è legato un agiato omosessuale che spera di ottenere dalla coppia la nascita di un figlio che potrà far suo. Un dramma familiare (e una famiglia di natura particolare) anche qui, e ancora una figura femminile indimenticabile, sebbene, come Piscicelli stesso ebbe ad affermare: “Immacolata era a modo suo un'eroina tragica. Rosa arriva dopo la fine della tragedia.”
Con Regina e Il corpo dell'anima il cinema di Piscicelli si arricchisce di nuovi temi e suggestioni espressive, senza abbandonare quelli già disseminati nei precedenti film (il sesso, il denaro, il rapporto di potere nella coppia). La centralità della figura femminile rimane, sia pure in contesti ambientali e temporali differenti. Nel primo, Regina è un'attrice teatrale di mezza età colta nel momento di crisi professionale a cui si aggiunge il tormentato rapporto sentimentale con un giovane che posa per fotoromanzi porno. Nel secondo, quasi interamente girato in interni, Luana è la giovane cameriera di un anziano sceneggiatore al quale dona, con semplicità e generosità, momenti di acceso, insperato amore, predisponendolo così di nuovo alla vita.
Echi autobiografici e riflessioni sulla produzione artistica, rimandi a temi eterni come lo scorrere del tempo, il confronto vecchio/nuovo, o la lotta tra natura e cultura si intravedono qui più da vicino. E tuttavia, anche in questi film, e negli ultimi lungometraggi di Piscicelli, Quartetto (2001) e Alla fine della notte (2002) - interni per così dire (per i temi e gli spazi disegnati) - , la coerenza con l'idea forte di cinema che aveva segnato i suoi inizi, con l'autenticità del suo sguardo cinematografico originario, permane intatta, così come la sua voglia di sperimentare sempre nuove soluzioni linguistiche. Impreziosite da mille sfumature dei personaggi che rendono le sue storie ancora più appassionate, talvolta venate di malinconia, ma sempre vere.
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venerdì 13 novembre 2015
mercoledì 18 marzo 2015
La canzone di Marcello
La canzone di Marcello, un documentario con Marcello Colasurdo, è visibile su youtube a questo indirizzo.
Ho girato questo film tra il 2004 e il 2006, filmando buona parte del materiale io stesso con la camera a mano. E’ un ritratto, per così dire, schizzato a matita dell’artista e del personaggio, un omaggio affettuoso e molto personale a Marcello, cui mi lega un’amicizia ormai più che trentennale.
Di seguito una scheda completa del film.
Regia, riprese, montaggio: Salvatore Piscicelli
Riprese aggiunte: Timoty Aliprandi, Saverio Guarna, Huub Nijhuis
Assistente al montaggio: Cristiana Cerrini
Musiche: Marcello Colasurdo e Paranza
Genere: documentario
Durata: 51’
Formato: DV, 4:3 – colore e b/n
Produzione: Carla Apuzzo per Falco Film – Italia, 2006
Con la simpatia umana e la carica comunicativa che lo hanno reso così popolare presso il pubblico di Napoli e della Campania, Marcello ci racconta la sua storia e le sue esperienze, gli incontri con Fellini e Peter Gabriel. Ci parla della politica, della fabbrica, della camorra, della dro
ga, della globalizzazione, della pace e della guerra. Ci conduce, quasi da sacerdote laico, in alcuni luoghi di pellegrinaggio dove si esprime quella religiosità popolare che ha ancora radici pagane. Lo vediamo mentre anima una discussione politica o una festa o quando trasmette l’arte della tammorra e la tradizione orale ai ragazzi del quartiere popolare dove vive. Lo seguiamo con la sua Paranza mentre canta e suona nelle piazze e sui palchi.
Arricchito da materiale degli anni Settanta, il film offre un ritratto a molte facce, denso di musica e di calore umano, di un artista autenticamente popolare.
Chi è Marcello Colasurdo
Di umili origini, Marcello trascorre l’infanzia in diversi collegi, prima a Napoli e poi nelle Marche. Verso i 12 anni, la madre lo riprende con sé. La famiglia è molto povera. Vivono in un “basso” in fondo a un cortile della vecchia Pomigliano: un’unica stanza in cui si cucina, si mangia, si dorme; il servizio igienico è fuori, in comune con gli altri bassi.
In collegio, Marcello ha conseguito la quinta elementare. Ora si arrangia, come tanti ragazzi po
veri della sua età, facendo i lavori più svariati: garzone di barbiere o di bar, raccoglitore di patate e d’altro in campagna, cantante di matrimoni… Sono questi gli anni della formazione musicale da autodidatta, a contatto col ricco tessuto culturale, contadino essenzialmente, che ancora sopravvive a Pomigliano d’Arco, che in quegli anni si è trasformato nel più grande polo industriale del meridione.
Nel 1975 è tra i fondatori del Gruppo Operaio “’E Zezi”. Animato da Angelo De Falco, il Gruppo è tra i primi a operare un recupero della tradizione musicale contadina in una chiave di forte consapevolezza politica e sociale.
Intanto Marcello partecipa alle dure lotte sociali di quel periodo, in particolare con i disoccupati organizzati. Consegue la licenza media, indispensabile per trovare un lavoro decente, e infine, nel 1980, a 25 anni, entra in fabbrica, all’Alenia, come operaio addetto alle pulizie. Vi resterà fino alla metà degli anni Novanta, pur continuando a lavorare e a tenere concerti con i Zezi.
Nel 1996, fonda il suo gruppo, “Marcello Colasurdo e Paranza”, con il quale produce un disco e tiene moltissimi concerti. Nel 2000, incide per l’etichetta inglese Real World Records di Peter Gabriel un CD, “Lost Souls” (“Aneme perze”), con il gruppo Spaccanapoli, con il quale continua a tenere concerti, soprattutto all’estero. Ha collaborato con tanti musicisti (Almamegretta, 99 Posse, Daniele Sepe, Nuova Compagnia di Canto Popolare, Maurizio Capone…), ha recitato in teatro (con Martone, Pressburger…) e al cinema (oltre che con Piscicelli, con Fellini – “Intervista” del 1987 - e poi con Capuano, De Bernardi, De Lillo). La ricchezza di questa esperienza fa sì che Marcello si trovi a suo agio in qualsiasi contesto: dai teatri tradizionali alle piazze di mezzo mondo, dalle feste popolari ai centri sociali, con artisti tradizionali e artisti d’avanguardia.
La tradizione musicale
La musica popolare, di cui Marcello è interprete principe, ha poco a che vedere con la pur straordinaria tradizione canzonettistica partenopea (anche se ne ingloba la parte più “paesana”). Essa è espressione diretta, e principale, della tradizionale cultura contadina dell’entroterra napoletano, legata al ciclo stagionale dei lavori e al calendario religioso, in particolar modo alle feste in onore delle varie Madonne Nere, eredi cristiane delle antiche divinità femminili della prosperità e dell’abbondanza. E’ una tradizione ricca di forme – canto libero (voce a fronne), canzone propriamente detta, rituali, tammurriate, fiabe cantate, vari tipi di danze, vere e proprie azioni teatrali (come la celebre “Canzone di Zeza”, che si recita a Carnevale con interpreti “en travesti”). Gli strumenti fondamentali sono la voce e la tammorra - il tradizionale tamburo che viene ancora costruito secondo le vecchie regole, spesso dagli stessi esecutori – cui si affiancano altri ingegnosi elementi percussivi (putipù, scetavajasse, ecc.) nonché, di volta in volta, chitarra, mandolino, fisarmonica, pifferi, ecc. E’ una musica dalla forte carica sensuale e partecipativa, che stimola immediatamente il movimento e la danza sfrenata; il che spiega il successo che sta ottenendo in questi anni presso il pubblico giovanile, che pure è così lontano dalle sue radici. In essa non è difficile avvertire echi arcaici, ma anche mediorientali e nordafricani. Negli ultimi decenni, questa musica, pur conservando il suo assetto tradizionale, è stata capace di contaminarsi con contenuti nuovi, legati alle lotte sociali e politiche, e di dialogare con altre forme musicali, come il jazz, il rock e il pop, in un movimento che riflette il processo sociale e culturale che sta alla base del suo recupero.
Ho girato questo film tra il 2004 e il 2006, filmando buona parte del materiale io stesso con la camera a mano. E’ un ritratto, per così dire, schizzato a matita dell’artista e del personaggio, un omaggio affettuoso e molto personale a Marcello, cui mi lega un’amicizia ormai più che trentennale.
Di seguito una scheda completa del film.
Regia, riprese, montaggio: Salvatore Piscicelli
Riprese aggiunte: Timoty Aliprandi, Saverio Guarna, Huub Nijhuis
Assistente al montaggio: Cristiana Cerrini
Musiche: Marcello Colasurdo e Paranza
Genere: documentario
Durata: 51’
Formato: DV, 4:3 – colore e b/n
Produzione: Carla Apuzzo per Falco Film – Italia, 2006
Con la simpatia umana e la carica comunicativa che lo hanno reso così popolare presso il pubblico di Napoli e della Campania, Marcello ci racconta la sua storia e le sue esperienze, gli incontri con Fellini e Peter Gabriel. Ci parla della politica, della fabbrica, della camorra, della dro
ga, della globalizzazione, della pace e della guerra. Ci conduce, quasi da sacerdote laico, in alcuni luoghi di pellegrinaggio dove si esprime quella religiosità popolare che ha ancora radici pagane. Lo vediamo mentre anima una discussione politica o una festa o quando trasmette l’arte della tammorra e la tradizione orale ai ragazzi del quartiere popolare dove vive. Lo seguiamo con la sua Paranza mentre canta e suona nelle piazze e sui palchi.
Arricchito da materiale degli anni Settanta, il film offre un ritratto a molte facce, denso di musica e di calore umano, di un artista autenticamente popolare.
Chi è Marcello Colasurdo
Di umili origini, Marcello trascorre l’infanzia in diversi collegi, prima a Napoli e poi nelle Marche. Verso i 12 anni, la madre lo riprende con sé. La famiglia è molto povera. Vivono in un “basso” in fondo a un cortile della vecchia Pomigliano: un’unica stanza in cui si cucina, si mangia, si dorme; il servizio igienico è fuori, in comune con gli altri bassi.
In collegio, Marcello ha conseguito la quinta elementare. Ora si arrangia, come tanti ragazzi po
veri della sua età, facendo i lavori più svariati: garzone di barbiere o di bar, raccoglitore di patate e d’altro in campagna, cantante di matrimoni… Sono questi gli anni della formazione musicale da autodidatta, a contatto col ricco tessuto culturale, contadino essenzialmente, che ancora sopravvive a Pomigliano d’Arco, che in quegli anni si è trasformato nel più grande polo industriale del meridione.
Nel 1975 è tra i fondatori del Gruppo Operaio “’E Zezi”. Animato da Angelo De Falco, il Gruppo è tra i primi a operare un recupero della tradizione musicale contadina in una chiave di forte consapevolezza politica e sociale.
Intanto Marcello partecipa alle dure lotte sociali di quel periodo, in particolare con i disoccupati organizzati. Consegue la licenza media, indispensabile per trovare un lavoro decente, e infine, nel 1980, a 25 anni, entra in fabbrica, all’Alenia, come operaio addetto alle pulizie. Vi resterà fino alla metà degli anni Novanta, pur continuando a lavorare e a tenere concerti con i Zezi.
Nel 1996, fonda il suo gruppo, “Marcello Colasurdo e Paranza”, con il quale produce un disco e tiene moltissimi concerti. Nel 2000, incide per l’etichetta inglese Real World Records di Peter Gabriel un CD, “Lost Souls” (“Aneme perze”), con il gruppo Spaccanapoli, con il quale continua a tenere concerti, soprattutto all’estero. Ha collaborato con tanti musicisti (Almamegretta, 99 Posse, Daniele Sepe, Nuova Compagnia di Canto Popolare, Maurizio Capone…), ha recitato in teatro (con Martone, Pressburger…) e al cinema (oltre che con Piscicelli, con Fellini – “Intervista” del 1987 - e poi con Capuano, De Bernardi, De Lillo). La ricchezza di questa esperienza fa sì che Marcello si trovi a suo agio in qualsiasi contesto: dai teatri tradizionali alle piazze di mezzo mondo, dalle feste popolari ai centri sociali, con artisti tradizionali e artisti d’avanguardia.
La tradizione musicale
La musica popolare, di cui Marcello è interprete principe, ha poco a che vedere con la pur straordinaria tradizione canzonettistica partenopea (anche se ne ingloba la parte più “paesana”). Essa è espressione diretta, e principale, della tradizionale cultura contadina dell’entroterra napoletano, legata al ciclo stagionale dei lavori e al calendario religioso, in particolar modo alle feste in onore delle varie Madonne Nere, eredi cristiane delle antiche divinità femminili della prosperità e dell’abbondanza. E’ una tradizione ricca di forme – canto libero (voce a fronne), canzone propriamente detta, rituali, tammurriate, fiabe cantate, vari tipi di danze, vere e proprie azioni teatrali (come la celebre “Canzone di Zeza”, che si recita a Carnevale con interpreti “en travesti”). Gli strumenti fondamentali sono la voce e la tammorra - il tradizionale tamburo che viene ancora costruito secondo le vecchie regole, spesso dagli stessi esecutori – cui si affiancano altri ingegnosi elementi percussivi (putipù, scetavajasse, ecc.) nonché, di volta in volta, chitarra, mandolino, fisarmonica, pifferi, ecc. E’ una musica dalla forte carica sensuale e partecipativa, che stimola immediatamente il movimento e la danza sfrenata; il che spiega il successo che sta ottenendo in questi anni presso il pubblico giovanile, che pure è così lontano dalle sue radici. In essa non è difficile avvertire echi arcaici, ma anche mediorientali e nordafricani. Negli ultimi decenni, questa musica, pur conservando il suo assetto tradizionale, è stata capace di contaminarsi con contenuti nuovi, legati alle lotte sociali e politiche, e di dialogare con altre forme musicali, come il jazz, il rock e il pop, in un movimento che riflette il processo sociale e culturale che sta alla base del suo recupero.
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