venerdì 7 luglio 2023

La canzone di Zeza

 

La canzone di Zeza è il primo film da me realizzato, nell’ormai lontano 1976, con la collaborazione di un ristretto gruppo di compagne e compagni. Lo ripropongo qui in omaggio alla memoria di Marcello Colasurdo, il nostro caro amico Marcellone, che ci ha lasciato prematuramente qualche giorno fa.

Questa la scheda filmografica:

La canzone di Zeza

Regia e fotografia (16mm, colore) Salvatore Piscicelli e Giampiero Tartagni; in collaborazione con: Adriana Bellone, Cristina Ruiz, Nieves Zenteno; interpreti: Marcello Colasurdo (Zeza), Luigi Cantone (Pulcinella), Ugo Basile (Vicenzella), Matteo D'Onofrio (Don Nicola), Pasquale Terracciano (Sarchiapone); produzione: L’Officina cinematografica; origine: Italia; anno: 1976; durata: 36’.

In un cortile della vecchia Pomigliano, il Gruppo Operaio 'E Zezi mette in scena La canzone di Zeza, uno spettacolo cantato e danzato, interpretato da soli uomini (nei ruoli femminili en travesti), che tradizionalmente si rappresentava per le strade e nei cortili durante il carnevale. Lo spettacolo termina con il canto collettivo di Bandiera rossa.

Girato il 7 marzo 1976 alla Masseria di Visone – Pomigliano d’Arco.

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La canzone di Zeza è un esempio di teatro popolare, probabilmente di origine seicentesca, legato ai riti di passaggio stagionali segnati dal Carnevale. Da Napoli si è poi diffuso nelle varie province della Campania.

Il Gruppo Operaio ‘E Zezi, fin dalla fondazione nel 1974, lavorò al recupero di questa e di altre forme espressive popolari come rivendicazione di una inalienabile identità storico-culturale di origine contadina in contrapposizione alla cultura capitalistica determinata dalla presenza nel territorio dell’industria (Alfa Romeo, Avio, Alfasud), con l’intento di usarle come strumento di lotta sociale e politica.

Il video qui presentato è stato trascritto dall’unica copia in 16 mm esistente del film e purtroppo non è esente da difetti: sganci, piccoli tagli, rigature, in particolare nei primi minuti. Malgrado ciò, mi è sembrato interessante riproporlo come documento della temperie sociale di una fase storica, gli anni Settanta del Novecento, sulla quale forse occorrerebbe riaprire una riflessione.