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martedì 1 marzo 2016

Cinema e psicoanalisi: "Alla fine della notte"


Nell'ambito della rassegna "Cinema e psicoanalisi", a cura della Società Psicoanalitica Italiana e della Cineteca Nazionale, proiezione del film Alla fine della notte di Salvatore Piscicelli.
Segue incontro con Domenico Chianese e il regista.

Giovedì 17 marzo 2016  ore 20.00
Palazzo delle Esposizioni
Sala Cinema
Scalinata di via Milano 9a
Ingresso libero fino ad esaurimento posti










Qui di seguito la scheda del film:

Alla fine della notte (2003)

Regia: Salvatore Piscicelli; soggetto e sceneggiatura: Salvatore Piscicelli; fotografia: Saverio Guarna; scenografia: Rossella Guarna; costumi: Nicoletta Taranta; suono in presa diretta: Fulgenzio Ceccon; musica: Eugenio Colombo; montaggio: Salvatore Piscicelli. 35mm colore. Durata: 95'.
Interpreti e personaggi: Ennio Fantastichini (Bruno), Elena Sofia Ricci (Viola), Stefania Orsola Garello (Fiamma), Ricky Tognazzi (Filippo), Ida Di Benedetto (Celeste), Toni Bertorello (Carlo), Roberto Herlitzka (analista), Anna Ammirati (Gloria).
Produzione: Enzo Gallo per Centrale d’Essai.

Salvatore Piscicelli, il miglior cineasta della nuova Napoli, continua il suo itinerario sofferto e appartato, tanto lucido e rigoroso quanto impermeabile ai diktat dei «fratelli del clan». Giovane, più che giovanile, nell'animo e quindi nel rapporto con la scrittura delle proprie emozioni, Piscicelli non indica la strada neppure ai più strenui dei suoi adepti: come dimostra ampiamente Alla fine della notte, un film che sembra un'opera prima nello stesso momento in cui decide di tirare le fila di un'intera vita artistica.
Il cinema non serve per rimirarsi in uno specchio stilistico; diventa, piuttosto, la chiave per dare un senso alle visioni che tormentano la purezza originaria di una vocazione e di un talento. Così l'eccellente Ennio Fantastichini (al suo fianco ci sono Roberto Herlitzka, Ida Di Benedetto, Toni Bertorelli, Elena Sofia Ricci), attore-regista di mezz'età in crisi, intraprende un viaggio iniziatico che lo riporta a Napoli senza tuttavia risolvere alcun quiz esistenziale.
Da una parte ci sono gli incontri umani, con l'ingombrante corredo di ricordi, traumi, flash subliminali e rimpianti: amici che ne hanno condiviso le passioni, donne che l'hanno tradito o l'hanno amato, una zia leopardiana sui generis, la moglie da cui sta per divorziare che gli annuncia di essere incinta, uno psicoanalista che insegna a convivere con la depressione, un filosofo omosessuale, il padre indegno che gli funestò l'infanzia provocando il suicidio della sorellina. Dall'altra, il pellegrinaggio si sfalda nel vortice sin troppo prezioso dei dialoghi, che poi si posano - come una polvere pietosa e terapeutica - sui canyon desertici e inariditi del tempo perduto.
È ­chiaro che la linea di direzione geografica dal nord al sud offre una chiave di lettura peculiare, ma il tono si mantiene sempre dissonante, eccentrico, destrutturato come in una composizione schonberghiana: Piscicelli non vuole aderire del tutto alla metafora, né sovrapporsi all'autonoma logica della narrazione che -come succede ai veri autori- deve restare tale. La sua coraggiosa «impudicizia», nel senso basico del termine, risalta tutta nel confronto conclusivo, un pezzo di bravura che sembra trasportarci nell'acme fiammeggiante di un melodramma all'antica.”

Valerio Caprara (“Il Mattino”, 2 luglio 2003)