Dirò subito che
Carol, tratto da un romanzo di Patricia Highsmith, sceneggiato da Phyllis Nagy e diretto da Todd Haynes, è un buon film. Il plot è intrigante, il cast scelto bene, le due interpreti principali, Cate Blanchett e Rooney Mara, rispettivamente nei ruoli di Carol e di Therese, sono molto brave, lo stile registico è sobriamente classico, la confezione impeccabile, perfetta in tutti i dettagli, allusiva a un certo cinema anni 50, epoca in cui la storia è ambientata (Haynes non è nuovo a questo genere di operazioni, ricordiamo
Far From Heaven, 2002, omaggio a Douglas Sirk). In più c'è un certo tono rivendicativo, indiretto ma efficace, dei sacrosanti diritti delle persone omosessuali, ancora in parte o del tutto conculcati qui o altrove. Insomma tutto ben fatto e ben presentato, un buon film in una stagione come quella attuale non così prodiga, almeno a mio parere, di opere degne di essere viste... Eppure, uscendo dalla sala, avvertivo una punta di delusione, forse più di una punta.
Il fatto è che nella mia testa, durante e dopo la visione, continuavo a confrontare il film e il romanzo e i conti non mi tornavano.
The Price of Salt (questo il titolo originale del romanzo, il titolo
Carol compare per la prima volta nella riedizione inglese del 1990), pubblicato nel 1952, occupa un posto singolare nella vasta e fortunata produzione di Patricia Highsmith. Opera seconda dopo il folgorante esordio di
Strangers on a Train, portato sulla schermo da Hitchcock, è l'unico romanzo
non-mystery/crime, per così dire, della scrittrice texana, l'unico in cui è centrale il tema dell'omosessualità femminile (Patricia era lesbica, com'è noto), l'unico con una forte componente autobiografica: il personaggio di Therese è chiaramente una proiezione della stessa Patricia (su questo aspetto si veda
la biografia di Joan Schenkar o anche
questo pezzo del New Yorker). Fu rifiutato dall'editore del primo libro (probabilmente perché non conforme al genere che l'aveva resa nota, dopo il successo del film di Hitchcock) e uscì sotto lo pseudonimo di Claire Morgan. Nell'edizione paperback dell'anno dopo, presentato come romanzo
lesbian pulp, vendette un milione di copie.
Il romanzo è la storia di un'educazione sessuale e sentimentale raccontata per intero dal punto di vista di Therese, sebbene il libro sia scritto in terza persona. Questa è la prima, significativa differenza col film, dove, nell'oggettivazione narrativa, il peso dei due personaggi viene riequilibrato. Le vicende personali di Carol, il problema del divorzio e i rapporti con la figlia, acquistano un'evidenza che nel romanzo è indiretta, filtrata dai pensieri e dalle emozioni di Therese. E' possibile che la presenza nel cast di una star come Cate Blanchett abbia influito su questa impostazione.
Ma c'è, tra film e libro, una differenza ancora più sostanziale e riguarda il ruolo che i due personaggi svolgono nella relazione d'amore. Nel romanzo, la diciannovenne Therese, che ha trascorso l'adolescenza in un istituto di suore praticamente abbandonata dalla madre vedova, è un'aspirante scenografa che vive da sola a New York. Ha un boyfriend che vorrebbe sposarla ma che lei non ama e col quale è andata a letto un paio di volte ricavandone un'esperienza sgradevole. Quando, nel reparto giocattoli di un grande magazzino dove lavora temporaneamente, incontra Carol, una giovane e bella signora, sposata con figlia e sul punto di divorziare, è il colpo di fulmine, è la scoperta di un desiderio travolgente, che la rende felice e la sorprende. E sarà lei ad avere, dall'inizio alla fine, il ruolo più propulsivo nella relazione d'amore.
Therese appartiene di diritto a quella che sarà la lunga serie di personaggi più o meno amorali che popolano i romanzi della Highsmith. L'urgenza del desiderio, una volta riconosciuta, non ammette ostacoli. La passione è vissuta senza sensi di colpa, nessuno scrupolo, nessuna concessione alle convenienze sociali. Quando Carol sarà costretta ad abbandonarla perché il marito le impedisce di vedere la figlia, Therese reagirà male, non può ammettere che l'amante abbia potuto preferire la figlia a lei, e allora non vorrà più rivederla. Torna a New York decisa a riprendersi la sua vita. E' il punto culminante di un processo di conquista dell'identità e della maturità sessuale e sentimentale.
Nel film, il ruolo più propulsivo nella relazione è attribuito a Carol, che ha già al suo attivo una relazione lesbica con la sua amica Abby, ma soprattutto viene completamente oscurato il coté amoralmente sovversivo del personaggio di Therese. Da questo punto di vista i cambiamenti apportati dalla sceneggiatura risultano significativi, anche se il plot non si discosta molto da quello del romanzo.
Ad esempio. Nel film, all'inizio, Carol dimentica i guanti sul banco del grande magazzino e Therese li fa spedire al suo indirizzo: un gesto di cortesia. Nel romanzo Carol non dimentica i guanti, è Therese che, il pomeriggio dello stesso giorno in cui l'ha conosciuta, spedisce a Carol una cartolina di auguri: un gesto di approccio, di provocazione.
Ancora. Nel film, Therese non ha avuto rapporti sessuali col suo boyfriend né con altri o altre, e quando si presenta l'occasione del primo approccio fisico, è Carol che prende l'iniziativa, si slaccia la vestaglia e la bacia. Segue una scena d'amore filmata in modo più o meno canonico. Il giorno dopo scoprono che il detective spedito dal marito ha registrato la loro notte d'amore (quasi una nemesi) e poi, in macchina, c'è un dialogo, dal sapore vagamente moralistico, in cui Therese si rimprovera di aver accettato le avances di Carol, di essere egoista, e Carol le dice: Ho preso quello che tu mi hai offerto spontaneamente, non è colpa tua. Quella sera sarà ancora Carol a invitare Therese a dormire con lei. Al risveglio, la ragazza trova in camera Abby che l'accompagnerà in macchina a New York. Carol è già partita.
Tutt'altro svolgimento troviamo nel romanzo. Innanzitutto è Therese a prendere l'iniziativa. Le dice: Carol, ti amo, posso dormire con te? Poi vanno a letto ma si addormentano subito perché sono stanche ed è solo all'alba, nel torpore del risveglio, nell'incerta luce che rischiara la stanza, che fanno l'amore. Nelle ore che seguono Therese non smette di guardare la sua amante, di abbracciarla, di toccarla, vuole sapere se è andata a letto con Abby, se con Abby era lo stesso che con lei, parlano dell'amore fisico con gli uomini... Seguono giorni e notti di vagabondaggi e di amore, le due amanti hanno il tempo di assaporare una dimensione di concreta felicità, prima che l'irruzione del detective metta fine, temporaneamente, all'idillio.
Ancora, il finale (un
happy end che tanto piacque alle lettrici lesbiche che inondarono di lettere l'autrice, come ricorda lei stessa in una nota del 1989). Qui c'è un'elisione altrettanto significativa. Nel film, dopo aver rifiutato l'offerta di Carol di andare a vivere con lei nel suo nuovo appartamento, Therese va a una festa di amici dove intravede il suo ex-boyfriend che sta con un'altra, è pensierosa e un po' spaesata, una ragazza le fa un timidissimo approccio, poi si decide, esce e va a riprendersi la sua Carol.
Nel libro lo schema è lo stesso ma Therese va a una festa di teatranti molto più glamour, dove a un certo momento compare sulla porta l'attrice inglese che interpreterà la commedia per la quale lei farà l'assistente scenografa. E' una bionda con vividi occhi azzurri. Si guardano, e Therese avverte "uno shock vagamente simile a quello che aveva provato nel vedere Carol per la prima volta", "una sorta di interna vampata" che le fa comprendere che quella donna è come Carol, ed è bella. L'attrice la raggiunge, la invita a un party più intimo che si terrà nella sua stanza. Un conflitto emotivo si scatena nell'animo di Therese, un "groviglio" con molti fili che per un momento non riesce a districare. C'è qui un doppio riconoscimento, quello della propria conquistata identità sessuale e quello dell'amore, che la spinge infine ad andarsene e a scegliere Carol. Ma quella vampata apre a un futuro di nuove scelte e di nuove libertà. Ancora una volta dove il libro accende, il film spegne.
La spia di quest'approccio per così dire riduzionista ce la offre lo stile fotografico del film (la via principale per accedere al fondo di un'opera è sempre quella della forma). Qui niente splendore del technicolor come in
Far From Heaven, niente stile composito come in
I'm Not There (i due film di Haynes che a tutt'oggi preferisco). La scelta di girarlo in pellicola Super16 produce un'estetica vagamente rétro in cui tutto viene elegantemente ammorbidito, sfocato, smussato. Il fuoco del desiderio, dell'amore, della passione c'è ma si intravede appena, soffocato alla fine da tanta morbidezza.