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lunedì 20 maggio 2024

La magnifica ossessione. Il cinema di Salvatore Piscicelli. L'introduzione di Alberto Castellano


E’ uscito il 16 maggio 2024 un volume di saggi sul mio cinema:
La magnifica ossessione. Il cinema di Salvatore Piscicelli, a cura di Alberto Castellano, Martin Eden Editore 2024. Il libro segue una retrospettiva completa - da poco conclusa - con dibattiti e analisi dei miei film organizzata dall’Accademia di Belle Arti di Napoli per il terzo anno del corso di cinema e audiovisivo tenuto dal professor Luigi Barletta.
Riproduco qui di seguito l’introduzione del curatore nonché la lista dei saggi, e dei rispettivi autori, raccolti nel volume.

Introduzione
Cercando nella forma uno sguardo politico
sul cinema e sul mondo


Quando si parla di Salvatore Piscicelli non si può non pensare subito a Jean-Luc Godard per le suggestive analogie professionali, per le sofisticate assonanze dal punto di vista critico-teorico e della pratica cinematografica. Godard, si sa, prima di esordire come regista nel 1954 con alcuni cortometraggi, aveva svolto un’intensa attività di critico cinematografico a partire dai primi anni ‘50 quando cominciò a scrivere saggi e articoli sui Cahiers du cinéma, per poi continuare con vari articoli, interviste, note, recensioni anche per altri giornali francesi (quotidiani, settimanali, riviste specializzate) fino agli anni ‘80. In quel periodo si gettavano le basi teoriche di quella che sarebbe stata la più grande stagione del cinema francese, intorno alla rivista si incontrarono quelli che sarebbero stati i protagonisti della Nouvelle Vague, Godard appunto, Truffaut, Chabrol, Rivette, Rohmer; ispirati da André Bazin fondatore dei Cahiers e padre spirituale del movimento.

Anche Salvatore Piscicelli prima di esordire dietro la macchina da presa con Immacolata e Concetta nel 1980, ha scritto tanto di cinema dal 1970 su riviste, pubblicazioni della Mostra del Cinema di Pesaro, l’Avanti! e altri quotidiani e settimanali e ha continuato, in maniera sporadica, fino al 2016 come testimonia il volume che raccoglie i suoi scritti (1) . I due autori quindi condividono l’intreccio tra la teoria e la prassi, tra l’approccio critico al cinema e il fare cinema. Quello che scrive Adriano Aprà nella presentazione del fondamentale libro da lui curato che raccoglie gli scritti del cineasta francese («Godard-critico è un cineasta in fieri, così come Godard-cineasta è un critico in fieri, scrivere film sulle pagine dei Cahiers o filmare critiche su pellicola Eastman è il segno di un medesimo atteggiamento di fronte al cinema: le parole proliferano in immagini e suoni, le immagini e i suoni rimandano alle idee che li provocano e di cui non sono altro che il complemento») (2) , vale in parte anche per Piscicelli visto che tutti i suoi film in maniera più evidente o più mimetizzata rimandano in qualche modo alle sue analisi critiche, alle sue riflessioni teoriche.

Le analogie però si fermano qui. Intanto perché Godard e Piscicelli – pur condividendo un amore sconfinato per il cinema, una passione cinefila totale, la vocazione alla citazione-omaggio – si sono espressi con strategie comunicative e prospettive narrative diverse. L’autore di Pomigliano è molto lontano dalla riflessione metalinguistica godardiana, anche se ogni suo film contiene in filigrana una riflessione sul cinema del passato, un riferimento ai film degli autori che più amati (Fassbinder, Sirk, Mizoguchi, Ozu, Rossellini) e soprattutto perché l’autore francese si è mosso nel periodo ‘50-’60, in un contesto culturale e un sistema cinematografico che dal punto di vista intellettuale, istituzionale, di strutture (la famosa Cinémathèque française) facevano lievitare idee, scambi, interazioni fra i vari cineasti. Piscicelli invece si è mosso in un contesto e in un periodo (quello degli anni ‘80) ben diversi, ingaggiando una donchisciottesca battaglia solitaria senza farsi scoraggiare dalla difficoltà per un autore indipendente di fare cinema senza farsi stritolare dal meccanismo perverso dei finanziamenti ministeriali-privati-televisivi destinati in gran parte al cinema commerciale, ai film di genere “usa e getta”. E forse anche per questo la stampa, la critica, gli editori gli hanno negato lo spazio e l’attenzione che merita(va) anche quando dopo i primi
folgoranti film si era già conquistato uno spazio importante, che lo fece individuare come il maestro degli autori della sua generazione e di quella
successiva, come il padre spirituale e morale dei cosiddetti “vesuviani”, i registi napoletani delle varie (presunte) nouvelle vague.

Del resto lui si ritagliò prepotentemente uno spazio tra le infinite rappresentazioni possibili di Napoli e della napoletanità, rivendicò subito un modo diverso di raccontare la città, i suoi linguaggi, le sue degradazioni e le sue pulsioni violente. Fece irruzione con storie forti e spigolose che non cercavano il consenso e non scaturivano da una programmatica intenzione di scandalizzare o provocare il dibattito politico, ma dalla genuina tensione a trasgredire linguaggi e stereotipi con soluzioni formali audaci e messe in scena originali e sofisticate. S’impose subito come autore di talento e personalità, non per le implicazioni sociologiche o le ripercussioni retoriche. Oltre tutto non operava in un contesto storico-politico “vantaggioso” e l’uscita dei suoi film non era accompagnata dalle fanfare multimediali.

Era ora insomma che si rendesse il dovuto omaggio a Piscicelli con una retrospettiva articolata e completa e una monografia, che sono state rese possibili grazie all’iniziativa dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, in particolare del corso di Cinema e audiovisivo del professor Luigi Barletta
che, sfidando residui di preconcetti e disinteresse, ha allestito la rassegna dei film di Piscicelli rivolta agli studenti della settima arte attraverso visioni, incontri e dibattiti con il regista stesso, suoi collaboratori e vari attori. Questo volume nato proprio a corredo dell’iniziativa si è presentato come un’occasione unica per un risarcimento totale dell’autore. Che pure nel corso degli anni ha avuto un’accoglienza spesso entusiastica da parte della critica, i suoi film hanno fatto registrare giudizi lusinghieri. Ma si trattava di approfondire, sviscerare, collegare, ricondurre i tasselli della sua produzione a una visione globale del cinema, a una ricomposizione complessiva del suo sguardo profondo, insolito, realistico senza fare realismo, a volte tenero a volte spigoloso, a volte poetico a volte duro. Paradossalmente ciò che ha reso tutto questo meno complicato è proprio una filmografia scarna, un’esiguità dei film girati, una dilatazione del tempo tra un film e l’altro che rendono Piscicelli il più autore degli autori, il suo rifiuto fisiologico-psicologico di fare un film dietro l’altro, la tendenza a trasformare la non prolificità in un modus operandi che gli ha consentito di ritagliarsi zone di riflessione, spazi significanti (a differenza di tanti autori o presunti tali che al contrario credono che è la quantità di film girati a generare una qualità che dà loro la patente autoriale).

E allora la squadra di saggisti e critici che costituisce l’ossatura del libro aveva l’obiettivo (credo raggiunto) di attraversare in lungo e in largo il cinema di Piscicelli, intercettando da angolazioni, culture, formazioni diverse le riflessioni connesse al cinema dell’autore. E i quindici saggi (dieci sui singoli film e cinque di carattere più generale) costituiscono altrettante tappe di un percorso artistico complesso, anche perché il fil rouge che lega i vari film non è d’immediata decifrazione, non ha l’evidenza espositiva che contraddistingue spesso altri autori. In linea con la politique des auteurs sull’asse Cahiers-Bazin, Piscicelli di volta in volta ha cambiato genere, contesto, tipologie, sempre all’insegna di un cinema “politico”, indipendente, di chi si è mosso all’interno di un sistema che non ha ripudiato con rigidità ideologica, ma riuscendo ad esprimere le sue idee, a raccontare le sue storie con budget quasi sempre risibili, con autoproduzioni che gli hanno consentito una libertà espressiva che i finanziamenti ministeriali o altri gli avrebbero negato.

Uno dei punti di forza del cinema piscicelliano sono le ambientazioni, le location che l’autore non ha mai trattato come sfondo ma quasi come
(co)protagoniste delle storie. E i vari saggi con impostazioni esegetiche diverse – da quelli sui singoli film a quelli che più in generale esaminano le sue scelte innovative, il rapporto delle figure femminili con la dimensione paesaggistica, la comparazione tra Immacolata e Maria Capasso, alla lunga intervista fatta da Luigi Barletta nella quale l’autore parla per la prima volta del suo cinema e non solo, a tutto campo, senza condizionamenti giornalistici – restituiscono un autore che passa con disinvoltura dall’entroterra agricolo di Immacolata e Concetta alla periferia off limits di Le occasioni di Rosa, dal caos metropolitano di Blues metropolitano alla periferia degradata di Baby Gang, dalla zona flegrea di Rose e pistole agli interni borghesi di Regina, Il corpo dell’anima, Alla fine della notte, Vita segreta di Maria Capasso, all’ambientazione volutamente indefinita di Quartetto.

Attraversare in lungo e in largo il cinema di Piscicelli, che è l’intento di questa monografia, significa incrociare i suoi personaggi così diversi ma che riconducono tutti a un senso deleuziano, significa intrecciarli nell’ottica di un intellettuale che ha inteso il cinema come naturale protesi espressiva, come fisiologico prolungamento del suo percorso e della sua formazione, come possibilità di dare forma alle sue sotterranee attrazioni – con citazioni raffinate spesso mimetizzate – per l’antropologia strutturalista e per molte declinazioni del post-strutturalismo, dai concetti di simulacro, simulazione, seduzione di Klossowski alla sessualità foucaultiana, dalla psicoanalisi freudiana-lacaniana al decostruzionismo di Derrida.

Alberto Castellano

1. Piscicelli S., L’imitazione della vita. Scritti di cinema 1970-2016,
a cura di Gino Frezza, Meltemi Editore, Milano, 2018.
2. Godard J. L., Il cinema è il cinema, a cura di Adriano Aprà,
Garzanti Editore, Milano, 1981. 

 

Lista dei testi

Introduzione
Cercando nella forma uno sguardo politico
sul cinema e sul mondo

di Alberto Castellano

Piscicelli tra melò e innovazione
di Sandro Dionisio

Abitare i luoghi del disagio
di Fabrizio Croce

Da Immacolata a Maria o della curva discendente
dell’autonomia dello spirito
di Paola Pagliuca


Le occasioni di Salvatore
di Valerio Caprara

Come vedo il cinema (e il mondo)
Intervista a Salvatore Piscicelli
di Luigi Barletta

La disgregazione del mondo rurale cancellata
dall’universo industriale

di Mario Franco

Donna Rosa e i suoi due mariti
di Fabio Zanello

Napoli cambia senza cambiare: il Vesuvio sta in
Tennessee perché Piscicelli è come Altman

di Francesco Della Calce

I corpi, il desiderio e la morte in scena
di Achille Pisanti

L’innocenza (perduta) della Nomenland
di Goffredo De Pascale

Le lacrime di Eros
di Gino Frezza

Un quartetto per due telecamere
di Adriano Aprà

Un road movie lungo i sentieri dell’anima
di Armando Andria

Per una vita migliore a qualunque costo
di Giancarlo Giacci

L’altra Napoli di Carla Apuzzo
(e Salvatore Piscicelli)

di Gina Annunziata


venerdì 27 marzo 2020

"La comune di Bagnaia - Un frammento di utopia" su YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=CnC68DXZZ-g
Proprio in questi giorni Carla Apuzzo, Huub Nijhuis ed io avremmo dovuto presentare ai "Giorni di Orosia" (una manifestazione piemontese dedicata quest'anno alle esperienze di vita comunitaria) un nostro documentario del 2005 sulla comune di Bagnaia (vedi la scheda nella sezione "film" di questo blog). Il film, accompagnato da Alfredo Camozzi e Amy Kabat, due membri storici di Bagnaia, sarebbe stato poi proiettato, insieme a "La Cecilia" (1975) di Jean Louis Comolli e al più recente “Voci dal silenzio” di Joshua Wahlen e Alessandro Seidita, al cinema Massimo di Torino e in una sala di Milano. Poiché tutto ciò non è stato evidentemente possibile, chi fosse interessato a vedere il nostro documentario può trovarlo a questo link:

https://www.youtube.com/watch?v=CnC68DXZZ-g



mercoledì 25 febbraio 2015

"Le ragazze del Settantacinque" di Carla Apuzzo

Sono lieto di annunciare che è uscito in ebook il primo romanzo di Carla Apuzzo, Le ragazze del Settantacinque. Ecco un breve scheda del libro.

Nell'estate del 1975 quattro giovani amiche che frequentano l'università e lavorano a Roma, entrate contemporaneamente in crisi con i rispettivi compagni, decidono di partire con una vecchia 500 per fare una vacanza in campeggio, da sole, decise ad affermare la propria autonomia. Dal racconto in prima persona di una di loro, che inizia con gli antefatti del viaggio, emergono le storie e gli intrecci sentimentali, le piccole avventure, i numerosi incontri che faranno durante la vacanza, gli scontri e le discussioni che ne derivano: un affresco ricco di dettagli che vuole restituire il clima di quegli anni di libertà sessuale, entusiasmi e ribellioni, lotta politica e presa di coscienza delle donne, in una chiave divertente e ironica, tutta al femminile.

Carla Apuzzo. Sceneggiatrice di film quali Immacolata e Concetta, Le occasioni di Rosa, Blues metropolitano, Il corpo dell'anima, fotografa, documentarista, autrice di testi teatrali, produttrice cinematografica, nonché regista di Rose e pistole, una commedia nera presentata al Festival di Berlino e in moltre altre rassegne cinematografiche internazionali. Vive e lavora a Roma.

A proposito del suo libro ha scritto Carla su Facebook:

Le ragazze del settantacinque è un romanzo che nasce da una riflessione maturata nel tempo sugli anni '70 e su come sono stati raccontati alle generazioni successive da parte della maggior parte dei mass media. Dopo l'uscita del film “Anni di piombo” di Margarethe Von Trotta, nel 1981, tutto quel periodo storico di lotte e di grandi conquiste è stato identificato sempre più frequentemente con quella definizione cupa e opprimente.

Bene, io non la penso affatto così.

Questo romanzo vuole cercare di raccontare, attraverso la storia di un gruppo di ragazze che vivevano e partecipavano in prima persona alle grandi battaglie politiche di quei tempi e a quelle, non meno dure, con l'altra età del cielo, tutto l'entusiasmo, la vitalità e l'allegria che hanno caratterizzato un periodo irripetibile della storia del nostro paese. Un periodo in cui le donne, partendo da uno stato di soggezione e di inferiorità, oltre che di grande conformismo, sono state le protagoniste assolute di cambiamenti epocali che hanno contribuito a trasformare profondamente un paese cattolico e bigotto come l'Italia.

Da parte mia dirò che Carla è riuscita a trovare il tono giusto, ironico e spavaldo, per la voce femminile che parla nel libro, come se emergesse da quel tempo viva e presente. Chi era giovane in quegli anni non potrà non riconoscerne l'autenticità. Per chi invece quegli anni non li ha vissuti il romanzo costituirà una vera scoperta: gli anni '70 come non ve li hanno mai raccontati.

Aggiungo che Le ragazze del Settantacinque è un romanzo molto divertente; non per caso Carla è l'autrice del film Rose e pistole, una delle più belle commedie nere del cinema italiano (critica dixit).

Il libro è acquistabile, al prezzo (politico, dice Carla) di 1,99 euro, in tutti gli store on line, ad esempio qui e qui.