Da un rapporto Oxfam diffuso nel gennaio 2015 si ricava che:
- L’1% della popolazione mondiale detiene il 48% della ricchezza mondiale, il 99% si divide il restante 52%. Buona parte di questo 52% è detenuto dal 20% più ricco, sicché all'80% della popolazione mondiale non resta che il 5,5%.
- Il reddito dell’1% dei più ricchi del mondo ammonta a 110.000 miliardi di dollari, 65 volte il totale della ricchezza della metà della popolazione più povera del mondo.
- Il reddito di 85 super ricchi equivale a quello di metà della popolazione mondiale ed è aumentato negli ultimi quattro anni del 50%
- 7 persone su 10 vivono in paesi dove la disuguaglianza economica è aumentata negli ultimi 30 anni.
- L’1% dei più ricchi ha aumentato la propria quota di reddito in 24 su 26 dei paesi con dati analizzabili tra il 1980 e il 2012.
- Negli USA, l’1% dei più ricchi ha intercettato il 95% delle risorse a disposizione dopo la crisi finanziaria del 2009, mentre il 90% della popolazione si è impoverito.
- Si stima in 21.000 miliardi di dollari la ricchezza nascosta nei paradisi fiscali e sottratta al fisco.
Una mostruosa disuguaglianza che genera fame, malattie, morte. "Questa economia uccide," ha detto papa Bergoglio recentemente. Come dargli torto?
Ma la domanda è: perché i poveri non si ribellano?
Ha scritto Aldous Huxley in un saggio del 1930: "La pietosa pazienza degli oppressi rappresenta forse il fenomeno più inesplicabile e nel contempo più rilevante di tutta la storia."
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martedì 17 febbraio 2015
lunedì 16 febbraio 2015
"La religione del capitale" di Paul Lafargue
La casa editrice
Mimesis ha recentemente pubblicato la traduzione italiana di un'opera
di Paul Lafargue, La religione del capitale (La religion du
Capital, 1887). Operazione doppiamente meritoria: perché offre
al pubblico italiano un testo premonitore dell'attuale fase globalizzata e totalitaria del capitalismo e perché riporta l'attenzione su un
grande rivoluzionario dell'Ottocento.
L'autore inizia col
descrivere un immaginario congresso internazionale svoltosi a Londra
con la partecipazione della élite del mondo politico, industriale,
finanziario ed ecclesiastico. Scopo dell'incontro è fermare la
diffusione delle idee socialiste. Per riuscirci, occorre che si
riconosca nel capitalismo una legge naturale e universale, una vera e
propria religione, che sostituisca tutte le altre, con al centro il
nuovo Dio, il Capitale appunto, cui tutti devono sottomettersi. Nei
capitoli successivi l'autore ci sottopone una parte del “corpo dottrinale” elaborato dal congresso:Il catechismo dei
lavoratori, Il sermone della cortigiana, L’Ecclesiaste
o Il libro dei capitalisti, Preghiere capitaliste e
Lamentazioni di Job Rothschild il capitalista.
La
chiave ironica e grottesca del pamphlet non
deve ingannare. Lafargue spiega bene come il capitalismo ha bisogno,
per sopravvivere, di proporsi come ideologia totalizzante ed
esclusiva, pervasiva di ogni
aspetto della vita sociale e individuale, una forma religiosa
appunto, un meccanismo di sottomissione psicologica e materiale al
tempo stesso, che rende
impossibile anche solo immaginare una prospettiva
diversa.
E'
interessante notare come la critica di Lafargue trovi una eco
straordinaria in un denso frammento teorico di Walter Benjamin del
1921, Capitalismo come
religione, dove “il
capitalismo è presentato come una religione puramente cultuale, che
tende a reiterare all’infinito un meccanismo di indebitamento e di
colpevolizzazione da cui non può esserci scampo”
(vedi il volume, anch'esso di recente pubblicazione, edito da
Quodlibet, Il culto del capitale. Walter Benjamin:capitalismo e religione).
Paul
Lafargue è l'autore di un altro pamphlet fondamentale, scritto
in carcere, Il diritto alla pigrizia (Le
droit à la paresse, 1880),
forse il testo marxista più tradotto e diffuso dopo Il
Manifesto di Marx-Engels,
una critica radicale di ogni
forma di etica del lavoro, dove si ribadisce che qualsiasi
prospettiva di emancipazione non può prescindere dalla necessità di
liberare l'uomo dal fardello del lavoro.
Il
libro si apre con una citazione di Lessing (“Oziamo in
tutte le cose, tranne quando amiamo e beviamo, tranne
quando oziamo”) e prosegue
così: “Una strana follia possiede le classi operaie
delle nazioni dove regna la civiltà capitalistica. Questa follia
trascina al suo seguito miserie individuali e sociali che da due
secoli torturano la triste umanità. Questa follia è l'amore
del lavoro, la passione mortale del
lavoro, spinta fino all'esaurimento delle forze vitali dell'individuo
e della sua progenie.”
Nella visione
politica di Paul Lafargue c'è una vena anarchica che lo rende speciale: lo stesso
Marx lo definiva l'ultimo dei bakuninisti. Nasce a
Santiago de Cuba nel 1842 da una famiglia in parte creola e in parte
ebraica. Esiliato a Londra, conosce Marx e nel 1868 ne sposa la
seconda figlia, Laura. Insieme alla moglie, è un formidabile
propagandista del comunismo in Francia e Spagna. Attivista della
Prima Internazionale, prende parte alla Comune di Parigi ed è tra i
fondatori del Partito operaio francese. Nel 1896 Laura riceve in
eredità una parte della fortuna di Engels e i due coniugi si
ritirano in campagna, nei pressi di Parigi, pur continuando la
battaglia politica.
La sera del 26
novembre 1911, dopo essere stati in città a vedere un film, Laura e
Paul Lafargue si suicidano con una iniezione di acido cianidrico. Nel
testamento Lafargue lascia scritto: “Sano di corpo e di spirito, mi
uccido prima che l'impietosa vecchiaia mi tolga uno a uno i piaceri e
le gioie dell'esistenza e mi spogli delle forze fisiche e
intellettuali. Affinché la vecchiaia non paralizzi la mia energia,
non spezzi la mia volontà e non mi renda un peso per me e per gli
altri.”
Laura e Paul sono sepolti al Père Lachaise, presso il cosiddetto Muro dei federati, dove il 28 maggio 1871,
durante la repressione della Comune, centinaia di insorti
furono fucilati e sepolti in una fossa comune.
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