1. Un film documentario.
Verso la metà degli anni Settanta Kaneto Shindo scrive, produce e
dirige un film documentario dal titolo: Aru eiga-kantoku no shōgai
Mizoguchi Kenji no kiroku (Kenji Mizoguchi: La vita di un regista
di cinema, 1975). Shindo - il celebre autore di Hadaka no Shima
(L’isola nuda, 1960) e di
Onibaba (1964) – conosceva bene l’autore di Ugetsu
per essere stato il suo assistente verso la fine degli anni Trenta e
aver lavorato nel reparto di scenografia del colossal Genroku
Chūshingura (I 47 Ronin, 1941-42), un film di propaganda
militarista realizzato da Mizoguchi durante la Seconda Guerra
Mondiale. Il documentario è prezioso perché all’epoca erano
ancora vivi molti dei collaboratori di Mizoguchi e Shindo riesce a
raccogliere ben trentanove interviste ad attori e attrici,
sceneggiatori, produttori e tecnici. L’immagine che viene fuori di
Mizoguchi è duplice e direi stridente. Da un lato infatti Shindo
conferma la sua stima e direi il suo attaccamento al grande regista,
di cui riconosce la statura e l’importanza, dall’altro però non
nasconde gli aspetti sgradevoli e problematici della sua personalità.
In ogni caso il film offre diverse testimonianze di grande rilievo e
notevoli spunti di riflessione.Mizoguchi è universalmente
riconosciuto come un regista che privilegia i personaggi femminili.
In una sorprendente intervista del febbraio del 1950 afferma invece che fu
in realtà lo studio, la Nikkatsu, a imporgli di girare film sulle
donne. Fu una scelta commerciale, dice. Poi, col tempo, il suo
interesse si approfondì. Vi torneremo. Molte interviste ad attori e
attrici ricordano il fatto che Mizoguchi non dava alcuna indicazione
su come recitare un certo personaggio o una certa scena. Dovevano
arrivarci da soli, in un percorso di immedesimazione. Da qui le
lunghe estenuanti prove a cui li sottoponeva, con spirito sadico.
Frequenti gli scoppi di pianto e in generale una condizione di
inadeguatezza e di paura, finché non scattava, quando scattava,
l’approvazione del maestro. Ma c’erano anche i licenziamenti su
due piedi, davanti a tutta la troupe, dopo tre giorni di prove da lui
ritenute inadeguate: e si trattava magari di un attore o di
un’attrice di primo livello. Altri ricordano che trovando
innaturali le battute sulla bocca degli attori, costringeva lo
sceneggiatore a riscriverle, con grande disappunto degli attori
medesimi, costretti a mandare a memoria le nuove battute, che
venivano scritte su una lavagna a beneficio di tutti. Qualcuno
ricorda che Mizoguchi aveva dedicato l’intera vita al cinema e si
aspettava lo stesso dagli altri. Era sempre il primo ad arrivare sul
set e non si muoveva mai dalla postazione di regia. Per svuotare la
vescica utilizzava una bottiglia da urina, cioè un pappagallo,
quello che usano in ospedale i pazienti allettati. E Kaneto Shindo ce
lo mostra con un bell’inserto in tutta la sua flagranza! Il colmo
del grottesco. Del resto qualcun altro ricorda che il grande regista
amava frequentare i bordelli e l’ambiente delle geishe. C’è
molto di giapponese in questa totale mancanza di ipocrisia.
Tuttavia il film contiene anche
testimonianze di maggiore interesse sul piano del cinema. Nel film
Chikamatsu monogatari le scene d’amore sono basate sulle
stampe erotiche (shunga). Ce lo ricorda lo specialista di
Ukiyo-e Yoshikazu Okamoto. Lo Ukiyo-e è un tipo di
stampa artistica fiorente tra la fine del Seicento e l’inizio del
Novecento, tra periodo Edo e periodo Meiji, sono immagini del
cosiddetto “mondo fluttuante” che ebbero successo anche in
Occidente con artisti come Utamaro (a cui Mizoguchi dedicò un film)
o Hokusai. Okamoto fornì al regista molto materiale del genere, che
fu di ispirazione per diverse scene, in particolare per il già
citato Chikamatsu monogatari e per Shin Heike monogatari.
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Utamaro - Tre donne
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Ma la testimonianza più bella
è quella di Kazuo Miyagawa, uno
dei grandi direttori della fotografia del cinema giapponese del
Novecento, che lavorò con i maggiori registi dell’epoca e
collaborò con Mizoguchi in otto film, quasi tutti gli ultimi della
sua carriera, tra il 1951 e il 1956, anno della sua morte. Miyagawa racconta la scena del viaggio in barca sul lago Biwa del film Ugetsu
monogatari. Ci siamo
ispirati, dice, alla scuola meridionale di pittura cinese, famosa per
i delicati grigi dell’inchiostro diluito. Probabilmente si
riferisce alla nota scuola Ma-Xia del XIII secolo, famosa appunto per
l’uso di inchiostri fortemente diluiti per ottenere sfondi
nebbiosi. Era molto difficile, aggiunge, e non ci siamo riusciti
appieno. Quando abbiamo stampato il negativo, risultò piatto. Non
siamo riusciti a ottenere un grigio profondo e caldo, bisognava
sovrasviluppare il negativo di un paio di stop (parliamo di pellicola
monocroma). Lo sapevo per esperienza, bisognava effettuare le riprese
in condizioni di bassa illuminazione e il più vicino possibile al
tramonto. Ma al di là del rammarico del tecnico, chi ha visto una
buona copia del film sa che la scena è bellissima, con la barca che
entra ed esce dalle nebbie fluttuanti. |
Ugetsu monogatari
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Queste
due testimonianze ci danno conferma dell’influenza delle arti
tradizionali sul cinema di Mizoguchi. E’ quando si trasferisce a
Kyoto con la Nikkatsu, dopo il terremoto di Tokyo del 1923, che egli
scopre il teatro (Noh,
Kabuki,
Bunraku,
Shimpa,
danza) e la pittura (Ukiyo-e,
pittura cinese, pittura su rotolo) e queste scoperte, a mano a mano
che il suo stile matura, vanno a influenzare i suoi film. |
Saikaku ichidai onna
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2. Mizoguchi e le donne.
Secondo il critico Tadao Sato, la biografia di Mizoguchi influenzò
significativamente il suo cinema. Nelle precarie condizioni della
famiglia, dovuti ai fallimenti del padre, la sorella maggiore di
Kenji, Suzu, di tre anni più anziana di lui, all’età di dieci
anni fu messa a servizio, per aiutare la famiglia, presso una delle
tre più famose case di geishe di Nihonbashi, la Mikawaya; di fatto
fu venduta . Qualche anno dopo, quando le fu conferito il titolo di
Hangyoku
(“mezzo gioiello”, un gradino sotto il titolo di geisha), divenne
l’amante del Visconte Tadamasa Matsudaira , di nove anni più
vecchio di lei, che le assegnò una casa ad Asakusa. Rimase subito
incinta ma abortì per proteggere l’onore della famiglia del
Visconte. A quel tempo il matrimonio di un aristocratico doveva
essere approvato dal ministro della Casa Imperiale e sposare una
geisha era assolutamente proibito. Negli anni successivi Suzu partorì
al Visconte quattro figli. Nel frattempo questi sposò una donna di
famiglia aristocratica e dalla residenza ufficiale visitava
occasionalmente la concubina. Nel 1913 la madre malata, Kenji e il
fratello più piccolo Yoshio si trasferirono da lei, che si assunse
il peso di sostenere tutta la famiglia, compreso il padre, che viveva
lì vicino, verso il quale Mizoguchi manifestò disprezzo se non
odio. Nel 1915 la salute della madre peggiorò, fu ricoverata in
ospedale e morì nell’ottobre di quell’anno. Tutte le spese se le
assunse Suzu. Nel 1923, dopo il terremoto di Tokyo, dopo aver
soggiornato in varie case, approdarono in una abitazione della
residenza del Visconte Matsudaira. La madre e la moglie del Visconte
trattavano Suzu come uno dei loro dipendenti, senza che vi fossero
segni di gelosia da parte della moglie. Fu un periodo difficile per
Suzu. Si parlò di andarsene. Lei comunque rifiutò l’elemosina di
50.000 yen per il bene dei figli e decise di rimanere accanto al suo
signore, anche se quest’ultimo, carattere debole, non interveniva a
difenderla. Nel 1926 la moglie del Visconte morì. Suzu e la famiglia
si trasferirono in una casa più grande in stile occidentale.
Mizoguchi, che lavorava a Kyoto come regista, quando era a Tokyo
abitava a casa di Suzu e non si faceva scrupolo di approfittare di
lei. Dopo la guerra, abolito il sistema nobiliare nel 1947, Suzu e
Matsudaira finalmente si sposarono.
E’
stato notato che diversi personaggi dei suoi film sono modellati su
membri della sua famiglia. A detta dello stesso Mizoguchi, in Naniwa
ereji, il personaggio di
Yunzo Murai, padre di Ayako, che sfrutta la figlia impunemente,
riflette fin nei dettagli la figura del padre del regista, che lo
considerava un fallito, persona inutile alla società. Quanto al
Visconte Matsudaira, sembrerebbe all’origine di personaggi
aristocratici senza spina dorsale, indecisi, senza carattere come il
signore di Saikaku
ichidai onna o
l’imperatore di Yokihi.
Quanto alle figure femminili, esse sono al centro di quasi tutta la
cinematografia di Mizoguchi.
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Saikaku ichidai onna
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Tadao
Sato sostiene che c’è un solo tema nel cinema di Mizoguchi, almeno
all’inizio: come una donna, oppressa dalla società feudale, fa i
conti col proprio destino. All’interno di questa configurazione
generale, la figura della donna che si sacrifica per l’uomo è uno
dei temi, di origine autobiografica, più sentiti dal regista (per
fare un esempio, citerò il bellissimo Zangiku
monogatari).
C’è in lui come un senso di colpa, non solo nei confronti della
sorella, che viene sacrificata per il benessere della famiglia, ma
anche per il proprio comportamento nei confronti delle donne che
chiama a una sorta di espiazione. Lo sappiamo frequentatore di
bordelli, uno che ha avuto molte amanti, a dispetto del matrimonio.
Questa voglia di espiazione era poi smentita dai fatti. Era difficile
cambiare stile di vita. Secondo Kaneto Shindo, era interessato al
denaro per mantenere una vita dissoluta.
Più
tardi compaiono nel suo cinema figure femminili che si ribellano alla
società che le opprime, del resto anche in Giappone emergevano
spinte alla liberazione delle donne. Questo rispecchiamento tra
biografia e società da un lato, e film dall’altro, non ci dice
molto sull’essenza del suo cinema, ci offre però un parziale
ritratto dell’uomo, le cui singolarità si inscrivono anche negli
aspetti più superficiali della prassi del cinema. Piuttosto è
interessante osservare un’altro
rispecchiamento, quello tra l’uomo Mizoguchi e una figura tipica
del cinema giapponese (già presente nel kabuki),
il “matinée idol”, così come ce la presenta Tadao Sato.
Una
premessa. Nel cinema americano degli anni Venti e Trenta in
particolare, con matinée idol si indica una star, maschile, di
bellissima presenza, di solito impegnata in ruoli romantici, amata
fanaticamente dai suoi ammiratori. L’esempio tipico di quell’epoca
è Rodolfo Valentino. Tadao Sato utilizza questa nozione anche per il
cinema giapponese, dove i ruoli principali si dividono in due
categorie: un uomo forte e affidabile che non si crea legami
(tachiyaku,
come nel teatro kabuki)
e all’opposto un uomo frivolo e inaffidabile, ma bello,
specializzato in scene d’amore, appunto un matinée idol. Le
sceneggiature venivano scritte tenendo in mente questi ruoli
distinti. Un esempio tipico di matinée idol lo troviamo nel già
citato Zangiku
Monogatari,
nel personaggio dell’attore salvato dal sacrificio della giovane
cameriera, personaggio interpretato da Hanayagi Shotaro, il più
famoso onnagata,
vale a dire un uomo che interpreta un ruolo femminile, vuoi in teatro
che al cinema.
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Zangiku monogatari
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Per
identificare Mizoguchi con un matinée idol Sato racconta un celebre
episodio. Nel 1925 ebbe una relazione, che si rivelò tempestosa, con
una certa Yuriko Ichijo, una yatona,
come si diceva a Kyoto, una per metà cameriera e per metà
prostituta. Un giorno Yuriko lo ferì con un rasoio alla schiena.
L’incidente, riportato dai giornali, causò uno scandalo e
Mizoguchi, che stava girando Akai
yūki ni terasarete,
fu cacciato e sostituito da Genjiro Saegusa. Yuriko fu arrestata e
subito rilasciata grazie alla difesa di Mizoguchi. Se ne andò a
Tokyo e il regista la seguì temendo che si suicidasse. La rintracciò
che faceva la cameriera in un albergo. Si sistemarono in un ryokan,
in un quartiere frequentato da artisti. Mizoguchi appariva come un
giovane indifeso, senza pretese, puro e bello, di cui le donne
potevano innamorarsi, esattamente come un matinée idol. Anche se, a
differenza del protagonista di Chikamatsu
monogatari,
non pensò al doppio suicidio per amore della donna. Un giorno un
musicista gli disse: sei troppo giovane per diventare il suo
magnaccia, ti conviene tornare al tuo lavoro, la dimenticherai
presto. E Mizoguchi, un po’ vigliaccamente, seguì il suo
consiglio. Yuriko, che non poteva permettersi il ryokan,
tornò a prostituirsi da qualche parte. Per anni il regista si vantò
di quella ferita, quasi fosse l’emblema della sua aderenza allo
spirito femminile. Diceva: Non puoi capire le donne se non hai una
come questa, alludendo alla cicatrice. |
Chikamatsu monogatari
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3.
Il metodo
Mizoguchi.
L’attore viene prima. Normalmente un regista inizia a impostare una
scena elaborando una sorta di découpage, suddividendola in
inquadrature (primo piano, campo lungo ecc.), con relativi tempi e
movimenti, al quale poi si adeguano attori e tecnici. Il metodo
Mizoguchi inizia invece dall’attore. Una volta costruito o definito
il set, l’attore comincia a provare e solo dopo si decide la
lunghezza delle inquadrature o le migliori posizioni della macchina
da presa. Mentre l’attore prova, Mizoguchi consente infatti anche
al cameraman di fare le sue prove, cercando la migliore interazione
con l’attore, diventando, come quest’ultimo, parte attiva del
processo creativo. All’attore Mizoguchi non dà, come si è detto,
alcuna indicazione su come interpretare un certo personaggio o
recitare una certa scena. Devi immedesimarti con i sentimenti del
personaggio, diceva all’attore, e recitare di conseguenza, col
corpo e col cuore, devi diventare l’incarnazione delle emozioni del
personaggio. Lo racconta molto bene in una intervista del 2013 Kyoko
Kagawa, splendida interprete di Osan in Chikamatsu
monogatari.
Talvolta spingeva l’attore a documentarsi con libri ed altro, come
ricorda Kinuyo Tanaka, sua attrice feticcio, a proposito del primo
film con Mizoguchi, Naniwa
onna,
per il quale la spinse a leggere libri tecnici sul bunraku,
vedere spettacoli e immergersi in quella atmosfera. Questa
impostazione implicava prove lunghe ed estenuanti e quelli che non
reggevano questo trattamento, come si è già detto, venivano
licenziati. All’attore che chiedeva lumi, egli rispondeva con la
stessa domanda: stai riflettendo? Questo metteva pressione
sull’attore e lo spingeva a dare il meglio di sé. |
Kinuyo Tanaka in Saikaku ichidai onna
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A
partire da questa impostazione che privilegiava la performance
dell’attore, derivavano altre scelte tecniche, innanzitutto il
piano sequenza o comunque le inquadrature lunghe. Nel momento in cui
l’interprete raggiunge la giusta espressione delle emozioni, è
bene dargli il tempo di esprimerla, prolungarla perfino quando è
possibile. Suddividerla in varie inquadrature significherebbe
distruggerla. Consequenziale a questa, un’altra scelta, la
profondità di campo, quindi l’uso degli obiettivi grandangolari.
Questo è un punto chiave. Mizoguchi dava grande importanza
all’interazione tra gli attori, per cui in una scena a due cercava
di tenere in campo entrambi gli attori o comunque di far sentire la
presenza dell’altro appena fuori campo. Sosteneva che recitare da
solo è diverso dal recitare alla presenza dell’altro. In questo
contesto era escluso l’uso dei primi piani. Per altro verso, proprio a causa di tutte queste scelte, il
montaggio perdeva di importanza. Per realizzare queste inquadrature
lunghe usava spesso la gru (dolly), in alcuni film per il
settantacinque per cento del tempo. La gru gli consentiva di
(in)seguire l’attore o gli attori più facilmente per creare delle
sequenze di grande eleganza articolando i vari piani del décor e
governando sapientemente le entrate e le uscite di campo (qui siamo
molto vicini alla pittura su rotolo). Era questo il punto di arrivo
del lungo lavoro di prove del cameraman, e infatti Tadao Sato non
esita ad attribuirlo a Kazuo Miyagawa. Il cui lavoro sulla fotografia
in bianco e nero, va detto, merita una menzione speciale. (Per
inciso, sembra che si debba a Miyazawa l’invenzione della tecnica
del salto della sbianca (nella stampa a colori un procedimento che
trattiene elementi dell’immagine del bianco e nero aggiungendoli
all’immagine a colori, ottenendo più contrasto e meno saturazione
del colore), approdata anche da noi alla fine degli anni Settanta
allo stabilimento della Technicolor di Roma con il tecnico Ernesto
Novelli e il direttore della fotografia Vittorio Storaro, forse con
una formulazione diversa. Il mio film Le
occasioni di Rosa
è stato stampato con questa tecnica.)
Un
altro collaboratore di rilievo di Mizoguchi è stato lo scenografo
Hiroshi Mizutani, che ha disegnato i set di molti suoi film. Mizutani
costruiva i set come una scena teatrale, il che spesso poneva dei
problemi a Niyagawa. Mizoguchi non era abituato a discutere con lo
scenografo quando iniziava la preparazione, né dava un’occhiata ai
piani che il tecnico gli sottoponeva o faceva delle
ispezioni sul set. Ma quando il lavoro era terminato, avanzava
richieste a volte irragionevoli. Col tempo, comprendendo lo stile di
lavoro del regista, Mizutani veniva incontro alle sue aspettative
allestendo bellissimi set. Anche in questo caso Mizoguchi faceva suo
il lavoro di un tecnico senza intervenire nel processo.
Nel
documentario di Kaneto Shindo vi sono varie testimonianze di una
sorta di disinteresse di Mizoguchi verso il lavoro dei suoi
collaboratori, cui in parte ho accennato sopra. Nel recensire il DVD
Criterion di Ugetsu, nel cui pacchetto era compreso il film di
Shindo, la redattrice della rivista Cinéaste Catherine
Russell scriveva: “ A quanto
pare il grande regista non ha mai guardato in macchina o ha
contribuito al disegno delle luci; ha maltrattato gli attori senza
mai dirigerli; ha riscritto la sceneggiatura su base quotidiana;
delegava tutte le ricerche e la pianificazione delle scenografie,
insistendo sulle modifiche solo dopo che tutto era stato costruito e
delegava tutte le decisioni sulla magnifica colonna sonora al
compositore e ai suoi assistenti alla regia.” E si chiedeva stupita
come mai, malgrado ciò, Mizoguchi abbia ottenuto risultati così
alti come in Ugetsu,
premiato alla Mostra di Venezia con il Leone d’argento nel 1953. Al
di là delle evidenti esagerazioni di alcune testimonianze, la
risposta ce la offre Tadao Sato con parole precise, pienamente
condivisibili: “La regia di
Mizoguchi era caratterizzata dall’abilità di attingere alle idee
dei membri della sua troupe e di cristallizzarle nella propria
visione composita.”
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Kinuyo Tanaka e Kenji Mizoguchi a Venezia
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4.
Mizoguchi e il
realismo. La prima
fase del cinema giapponese è caratterizzata da due elementi assenti
nelle altre cinematografie, vale a dire il benshi
e l’onnagata.
Il benshi era un commentatore che, collocato ai lati dello schermo,
raccontava lo svolgimento dell’azione e interpretava le situazioni
e i personaggi dei film muti. Di derivazione teatrale, in particolare
dal Bunraku,
l’esistenza del benshi testimonia l'alto grado di opacità che
doveva avere, per il pubblico indigeno, lo spettacolo
cinematografico: un'opacità che esigeva la traduzione del senso
ignoto delle immagini nel codice più formalizzato e più
accessibile, e cioè la lingua. La figura del benshi assunse un
grande rilievo, alcuni di essi divennero molto popolari e quando il
cinema muto tramontò, provarono a resistere ma ovviamente fallirono.
Gli
onnagata
sono attori di sesso maschile che interpretano ruoli femminili. Il
loro uso nel cinema deriva dal kabuki,
dove è istituzionalizzato. Gli onnagata posseggono tecniche
specifiche, assai sofisticate, anch’esse derivate dal teatro.
Diversi onnagata hanno raggiunto una vasta popolarità e quando
questa pratica è stata dismessa, spesso gli onnagata si sono
trasformati in matinée idol, cioè, come abbiamo visto, in attori di
ruoli romantici. La fine degli onnagata e del benshi, che coincide
più o meno con la fine del cinema muto, apre il cinema giapponese al
realismo. Si tratta sempre comunque di elementi realistici innestati
nella forma del melodramma tradizionale, spesso shimpa
film, tratti da copioni di questa forma di rinnovamento del kabuki.
Il
realismo come idea di poetica fa parte della visione del cinema che
ha Mizoguchi, come ci attestano le poche dichiarazioni sul tema. Essa
si esprime in vari tentativi ma emerge più chiaramente nel 1936 con
Naniwa ereji
e Gion no kyodai
e prosegue poi negli anni. Ma in realtà l’istanza realistica nel
suo cinema è innestata come uno degli elementi che concorrono a un
complesso processo di formalizzazione sovradeterminato dalle pratiche
artistiche tradizionali, in particolare il teatro e la pittura; come
ho cercato di dimostrare in un mio saggio del 1972, La
pratica formale in Kenji Mizoguchi,
composto dopo la visione di una retrospettiva di dieci film presso
l’Istituto Giapponese di Cultura di Roma nella primavera del 1971.
Tuttavia
l’istanza realistica risuona costantemente nel cinema del maestro,
emergendo anche nei jidai-geki
(film storici) oltre che nei gendai-geki
(film di ambientazione contemporanea). Un esempio dei primi è Sansho
dayu
del 1954. Basato su un racconto di Ogai Mori, a sua volta ispirato a
un “folk tale” buddista di tradizione orale. Mizoguchi e il suo
sceneggiatore Yoshikata Yoda sottraggono
alla storia buona parte dei risvolti leggendari e religiosi per
conferire al film un carattere di realismo storico dentro il quale si
esalta la denuncia della pratica della schiavitù nel Giappone
medievale. Questa impostazione, molto cara a Mizoguchi, non contrasta
col fatto che il film è uno dei più formalizzati, uno di quelli in
cui lo stile maturo di Mizoguchi, ricco di risonanze teatrali e
pittoriche, si manifesta esemplarmente.
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Sansho dayu
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In
maniera più esplicita emerge l’istanza realistica in un
gendai-geki,
Akasen
chitai,
del 1956, ultimo film del regista, sul quale mi voglio soffermare.
Tratto in parte da un romanzo della scrittrice Yoshiko Shibaki,
sceneggiatura di Masashige Narusawa, e ambientato a Tokyo, nel
distretto Yoshiwara, il distretto a luci rosse (il titolo originale
vuol dire appunto “distretto a luci rosse”, laddove in occidente
il film è stato distribuito con il moralistico titolo di The
street of shame,
La strada della vergogna), il film incorpora nella finzione un
elemento di stretta attualità politica, vale a dire la discussione
al parlamento giapponese di una legge che aboliva la prostituzione, e
cioè le case chiuse. Si da il caso che due mesi dopo l’uscita del
film la legge fu approvata e poiché il film aveva avuto un grande
successo, si disse che aveva contribuito a questa approvazione. Nella
finzione, invece, la legge viene respinta, con grande gioia dei
tenutari. In effetti il film si presenta come una sorta di studio
sociologico sulla miseria della condizione femminile all’interno di
una casa chiusa, cioè di un bordello. Mizoguchi ritorna su una
tematica già in parte affrontata in passato, in un contesto, quello
del bordello, che egli ben conosceva per esserne stato un
frequentatore abituale. Il tono è da commedia drammatica, con punte
fortemente drammatiche. Il film è pieno di elementi dal forte
realismo, nulla viene nascosto della violenza e dello squallore della
vita in una casa chiusa.
Sono
cinque le protagoniste di questo film corale e il loro destino è
quasi sempre fallimentare. Yumeko è una vedova che si è prostituita
per crescere il figlio, ma quest’ultimo, una volta diventato
adulto, si vergogna a tal punto da ripudiarla. Lei, per la delusione,
impazzisce. Yorie va sposa al gestore di un negozio di zoccoli ma
scopre che il marito voleva soltanto una cameriera e una lavorante a
buon mercato, per cui ritorna al bordello. Non meno triste è la
storia di Hanae, che si prostituisce per sostentare il marito
gravemente malato e il figlioletto. A un certo punto vengono
sfrattati e lei è costretta a fare ulteriori debiti per andare
avanti. E’ la coppia di gestori del bordello (il cui nome è
ironicamente Dreamland!) a praticare i prestiti usurari, che
finiscono per tenere vincolate le donne. L’unica a cavarsela è la
furba Yasumi, che sfrutta gli aspiranti fidanzati per farsi
consegnare ingenti somme e pratica anche lei il prestito usurario.
Sfruttando la credulità del proprietario di un negozio di futon, ne
rileva il controllo e può uscire dal bordello e mettersi in proprio.
Anomalo
è il quinto personaggio, Mickey (il soprannome è quello del
personaggio di Disney che da noi è Topolino), interpretato
splendidamente da Machiko Kyo, che in Ugetsu
interpretava la donna-fantasma che seduceva il vasaio. Questa giovane
donna, completamente occidentalizzata, si è fatta prostituta per
ribellarsi all’ipocrisia del padre borghese. Mickey è protagonista
di almeno due magnifiche sequenze. La prima, esilarante, è il suo
ingresso nella casa accompagnata da un magnaccia. Si guarda intorno,
si mette a ballare cantando: “Sono io la nuova Venere”. Poi vede
un uomo, lo afferra per portarselo a letto, ma scopre subito che è
un inserviente della casa.
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Machiko Kyo in Akasen chitai
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La seconda è ben più drammatica. Il
padre viene a trovarla annunciando che la madre è morta e che lui si
è risposato. Poiché a Kobe, dove vivono, si è risaputo che lei fa
la prostituta, egli pretende che la ragazza ritorni per ristabilire
la facciata in modo da consentire alla sorella un buon matrimonio e
al fratello un buon impiego. Per tutta risposta la ragazza lo
trascina a letto: “Compra il corpo della figlia di un uomo
d’affari: 1500 yen. L’ultimo grido in fatto di depravazione.”
Il padre si sottrae disgustato e lei lo caccia, per commentare
infine: “Un melodramma disgustoso. Vado a farmi un bagno e a vedere
un film con Marilyn.” Al di là della pregnanza narrativa, della
forza drammatica della provocazione della ragazza, su un altro piano
tutto il personaggio di Mickey è di carattere metalinguistico, ci
segnala che si tratta di un film, che siamo dentro il gioco del
cinema. |
Akasen chitai
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E
cioè già nella dimensione formale del film. Ambientato quasi
interamente in interni e per gran parte nel bordello, in spazi
stretti affastellati di oggetti a rendere forse il senso di
soffocamento di quelle vite (lo scenografo è un abituale
collaboratore di Mizoguchi, Hiroshi Mizutani), il film non offre al
regista e al suo direttore della fotografia Kazuo Miyagawa la
possibilità di utilizzare quegli elementi di linguaggio che li
avevano resi famosi anche in Occidente. E tuttavia Miyagawa muove la
macchina da presa con una tale efficacia ed eleganza, con movimenti
ora veloci ora lenti, giocando sulle entrate e le uscite di campo,
sfruttando gli elementi del décor per sottolineare i rapporti tra i
personaggi, aderendo pienamente al gioco della storia ma al tempo
stesso fungendone da sguardo esterno. Insomma la macchina da presa
diventa quasi un personaggio del film in quanto puro sguardo. Si
aggiunga una stranissima musica, di tipo elettronico, firmata da
Toshiro Mayuzumi, spesso giocata a contrasto con le immagini,
rispetto alle quali non è mai davvero a commento. Insomma siamo
ancora una volta di fronte a un’opera che, pur inglobando
un’autentica istanza realistica, si presenta anch’essa come
fortemente formalizzata.
Akasen
chitai
ha una conclusione toccante. E’ arrivata al bordello Shizuko, una
ragazza ancora molto giovane, quasi un’adolescente. La truccano
perché sembri più bella. Deve prostituirsi per mandare soldi alla
madre. E’ Mickey che la conforta. “Non ci si può fare nulla”,
le dice, “ma non lasciare che questo ti rattristi troppo. Tante
ragazze lo fanno gratis, quelle sceme. Forza, guarda come faccio io.”
Shizuko osserva lei e le altre, osserva come fanno ad attirare i
clienti, poi, mezzo nascosta dalla porta (e da
qui
Miyazawa inquadra in primo piano), con un’espressione tra il timido
e lo spaventato, abbozza anche lei un richiamo, timidissimo: “Ehi…”
Ma poi, come intimorita
dalla sua stessa voce, si ritira dietro la porta e su questo primo
piano, tenerissimo
e terribile, un fondu al nero chiude il film. A dimostrazione del
fatto che ha un fondamento l’aver accreditato al cinema di
Mizoguchi anche un carattere di “realismo umanistico”.
|
Yasuko Kawakami in Akasen chitai
|
Libri,
saggi e film citati
-
Tadao Sato, Kenji
Mizoguchi and the Art of Japanese Cinema,
Berg Publishers,
Oxford – New York
-
Catherine Russell, DVD
Reviews: Ugetsu,
Cinéaste, Vol. 31, No. 3 (Summer 2006)
-
Salvatore Piscicelli, La
pratica formale in Kenji Mizoguchi,
Cinema Sessanta, n. 87/88, gennaio-aprile 1972 (ristampato in: Salvatore Piscicelli, L’imitazione
della vita. Scritti di cinema 1970-2016,
Meltemi Editore 2018)
-
Aru
eiga-kantoku no shōgai Mizoguchi Kenji no kiroku
(Kenji Mizoguchi: La vita di un regista di cinema, 1975), scritto,
prodotto e diretto da Kanedo Shindo
-
Performance,
intervista video
con
Kyoko Kagawa, presente negli “Extras” del DVD Criterion
Collection di Sansho
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