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martedì 11 giugno 2024

Note sparse su Kenji Mizoguchi e il suo cinema


1. Un film documentario. Verso la metà degli anni Settanta Kaneto Shindo scrive, produce e dirige un film documentario dal titolo: Aru eiga-kantoku no shōgai Mizoguchi Kenji no kiroku (Kenji Mizoguchi: La vita di un regista di cinema, 1975). Shindo - il celebre autore di Hadaka no Shima (L’isola nuda, 1960) e di Onibaba (1964) – conosceva bene l’autore di Ugetsu per essere stato il suo assistente verso la fine degli anni Trenta e aver lavorato nel reparto di scenografia del colossal Genroku Chūshingura (I 47 Ronin, 1941-42), un film di propaganda militarista realizzato da Mizoguchi durante la Seconda Guerra Mondiale. Il documentario è prezioso perché all’epoca erano ancora vivi molti dei collaboratori di Mizoguchi e Shindo riesce a raccogliere ben trentanove interviste ad attori e attrici, sceneggiatori, produttori e tecnici. L’immagine che viene fuori di Mizoguchi è duplice e direi stridente. Da un lato infatti Shindo conferma la sua stima e direi il suo attaccamento al grande regista, di cui riconosce la statura e l’importanza, dall’altro però non nasconde gli aspetti sgradevoli e problematici della sua personalità. In ogni caso il film offre diverse testimonianze di grande rilievo e notevoli spunti di riflessione.

Mizoguchi è universalmente riconosciuto come un regista che privilegia i personaggi femminili. In una sorprendente intervista del febbraio del 1950 afferma invece che fu in realtà lo studio, la Nikkatsu, a imporgli di girare film sulle donne. Fu una scelta commerciale, dice. Poi, col tempo, il suo interesse si approfondì. Vi torneremo. Molte interviste ad attori e attrici ricordano il fatto che Mizoguchi non dava alcuna indicazione su come recitare un certo personaggio o una certa scena. Dovevano arrivarci da soli, in un percorso di immedesimazione. Da qui le lunghe estenuanti prove a cui li sottoponeva, con spirito sadico. Frequenti gli scoppi di pianto e in generale una condizione di inadeguatezza e di paura, finché non scattava, quando scattava, l’approvazione del maestro. Ma c’erano anche i licenziamenti su due piedi, davanti a tutta la troupe, dopo tre giorni di prove da lui ritenute inadeguate: e si trattava magari di un attore o di un’attrice di primo livello. Altri ricordano che trovando innaturali le battute sulla bocca degli attori, costringeva lo sceneggiatore a riscriverle, con grande disappunto degli attori medesimi, costretti a mandare a memoria le nuove battute, che venivano scritte su una lavagna a beneficio di tutti. Qualcuno ricorda che Mizoguchi aveva dedicato l’intera vita al cinema e si aspettava lo stesso dagli altri. Era sempre il primo ad arrivare sul set e non si muoveva mai dalla postazione di regia. Per svuotare la vescica utilizzava una bottiglia da urina, cioè un pappagallo, quello che usano in ospedale i pazienti allettati. E Kaneto Shindo ce lo mostra con un bell’inserto in tutta la sua flagranza! Il colmo del grottesco. Del resto qualcun altro ricorda che il grande regista amava frequentare i bordelli e l’ambiente delle geishe. C’è molto di giapponese in questa totale mancanza di ipocrisia.

Tuttavia il film contiene anche testimonianze di maggiore interesse sul piano del cinema. Nel film Chikamatsu monogatari le scene d’amore sono basate sulle stampe erotiche (shunga). Ce lo ricorda lo specialista di Ukiyo-e Yoshikazu Okamoto. Lo Ukiyo-e è un tipo di stampa artistica fiorente tra la fine del Seicento e l’inizio del Novecento, tra periodo Edo e periodo Meiji, sono immagini del cosiddetto “mondo fluttuante” che ebbero successo anche in Occidente con artisti come Utamaro (a cui Mizoguchi dedicò un film) o Hokusai. Okamoto fornì al regista molto materiale del genere, che fu di ispirazione per diverse scene, in particolare per il già citato Chikamatsu monogatari e per Shin Heike monogatari.

Utamaro - Tre donne
Ma la testimonianza più bella è quella di Kazuo Miyagawa, uno dei grandi direttori della fotografia del cinema giapponese del Novecento, che lavorò con i maggiori registi dell’epoca e collaborò con Mizoguchi in otto film, quasi tutti gli ultimi della sua carriera, tra il 1951 e il 1956, anno della sua morte. Miyagawa racconta la scena del viaggio in barca sul lago Biwa del film Ugetsu monogatari. Ci siamo ispirati, dice, alla scuola meridionale di pittura cinese, famosa per i delicati grigi dell’inchiostro diluito. Probabilmente si riferisce alla nota scuola Ma-Xia del XIII secolo, famosa appunto per l’uso di inchiostri fortemente diluiti per ottenere sfondi nebbiosi. Era molto difficile, aggiunge, e non ci siamo riusciti appieno. Quando abbiamo stampato il negativo, risultò piatto. Non siamo riusciti a ottenere un grigio profondo e caldo, bisognava sovrasviluppare il negativo di un paio di stop (parliamo di pellicola monocroma). Lo sapevo per esperienza, bisognava effettuare le riprese in condizioni di bassa illuminazione e il più vicino possibile al tramonto. Ma al di là del rammarico del tecnico, chi ha visto una buona copia del film sa che la scena è bellissima, con la barca che entra ed esce dalle nebbie fluttuanti.
Ugetsu monogatari
Queste due testimonianze ci danno conferma dell’influenza delle arti tradizionali sul cinema di Mizoguchi. E’ quando si trasferisce a Kyoto con la Nikkatsu, dopo il terremoto di Tokyo del 1923, che egli scopre il teatro (
Noh, Kabuki, Bunraku, Shimpa, danza) e la pittura (Ukiyo-e, pittura cinese, pittura su rotolo) e queste scoperte, a mano a mano che il suo stile matura, vanno a influenzare i suoi film.
Saikaku ichidai onna
2. Mizoguchi e le donne. Secondo il critico Tadao Sato, la biografia di Mizoguchi influenzò significativamente il suo cinema. Nelle precarie condizioni della famiglia, dovuti ai fallimenti del padre, la sorella maggiore di Kenji, Suzu, di tre anni più anziana di lui, all’età di dieci anni fu messa a servizio, per aiutare la famiglia, presso una delle tre più famose case di geishe di Nihonbashi, la Mikawaya; di fatto fu venduta . Qualche anno dopo, quando le fu conferito il titolo di Hangyoku (“mezzo gioiello”, un gradino sotto il titolo di geisha), divenne l’amante del Visconte Tadamasa Matsudaira , di nove anni più vecchio di lei, che le assegnò una casa ad Asakusa. Rimase subito incinta ma abortì per proteggere l’onore della famiglia del Visconte. A quel tempo il matrimonio di un aristocratico doveva essere approvato dal ministro della Casa Imperiale e sposare una geisha era assolutamente proibito. Negli anni successivi Suzu partorì al Visconte quattro figli. Nel frattempo questi sposò una donna di famiglia aristocratica e dalla residenza ufficiale visitava occasionalmente la concubina. Nel 1913 la madre malata, Kenji e il fratello più piccolo Yoshio si trasferirono da lei, che si assunse il peso di sostenere tutta la famiglia, compreso il padre, che viveva lì vicino, verso il quale Mizoguchi manifestò disprezzo se non odio. Nel 1915 la salute della madre peggiorò, fu ricoverata in ospedale e morì nell’ottobre di quell’anno. Tutte le spese se le assunse Suzu. Nel 1923, dopo il terremoto di Tokyo, dopo aver soggiornato in varie case, approdarono in una abitazione della residenza del Visconte Matsudaira. La madre e la moglie del Visconte trattavano Suzu come uno dei loro dipendenti, senza che vi fossero segni di gelosia da parte della moglie. Fu un periodo difficile per Suzu. Si parlò di andarsene. Lei comunque rifiutò l’elemosina di 50.000 yen per il bene dei figli e decise di rimanere accanto al suo signore, anche se quest’ultimo, carattere debole, non interveniva a difenderla. Nel 1926 la moglie del Visconte morì. Suzu e la famiglia si trasferirono in una casa più grande in stile occidentale. Mizoguchi, che lavorava a Kyoto come regista, quando era a Tokyo abitava a casa di Suzu e non si faceva scrupolo di approfittare di lei. Dopo la guerra, abolito il sistema nobiliare nel 1947, Suzu e Matsudaira finalmente si sposarono.

E’ stato notato che diversi personaggi dei suoi film sono modellati su membri della sua famiglia. A detta dello stesso Mizoguchi, in Naniwa ereji, il personaggio di Yunzo Murai, padre di Ayako, che sfrutta la figlia impunemente, riflette fin nei dettagli la figura del padre del regista, che lo considerava un fallito, persona inutile alla società. Quanto al Visconte Matsudaira, sembrerebbe all’origine di personaggi aristocratici senza spina dorsale, indecisi, senza carattere come il signore di Saikaku ichidai onna o l’imperatore di Yokihi. Quanto alle figure femminili, esse sono al centro di quasi tutta la cinematografia di Mizoguchi.

Saikaku ichidai onna
Tadao Sato sostiene che c’è un solo tema nel cinema di Mizoguchi, almeno all’inizio: come una donna, oppressa dalla società feudale, fa i conti col proprio destino. All’interno di questa configurazione generale, la figura della donna che si sacrifica per l’uomo è uno dei temi, di origine autobiografica, più sentiti dal regista (per fare un esempio, citerò il bellissimo Zangiku monogatari). C’è in lui come un senso di colpa, non solo nei confronti della sorella, che viene sacrificata per il benessere della famiglia, ma anche per il proprio comportamento nei confronti delle donne che chiama a una sorta di espiazione. Lo sappiamo frequentatore di bordelli, uno che ha avuto molte amanti, a dispetto del matrimonio. Questa voglia di espiazione era poi smentita dai fatti. Era difficile cambiare stile di vita. Secondo Kaneto Shindo, era interessato al denaro per mantenere una vita dissoluta.

Più tardi compaiono nel suo cinema figure femminili che si ribellano alla società che le opprime, del resto anche in Giappone emergevano spinte alla liberazione delle donne. Questo rispecchiamento tra biografia e società da un lato, e film dall’altro, non ci dice molto sull’essenza del suo cinema, ci offre però un parziale ritratto dell’uomo, le cui singolarità si inscrivono anche negli aspetti più superficiali della prassi del cinema. Piuttosto è interessante osservare un’altro rispecchiamento, quello tra l’uomo Mizoguchi e una figura tipica del cinema giapponese (già presente nel kabuki), il “matinée idol”, così come ce la presenta Tadao Sato.

Una premessa. Nel cinema americano degli anni Venti e Trenta in particolare, con matinée idol si indica una star, maschile, di bellissima presenza, di solito impegnata in ruoli romantici, amata fanaticamente dai suoi ammiratori. L’esempio tipico di quell’epoca è Rodolfo Valentino. Tadao Sato utilizza questa nozione anche per il cinema giapponese, dove i ruoli principali si dividono in due categorie: un uomo forte e affidabile che non si crea legami (tachiyaku, come nel teatro kabuki) e all’opposto un uomo frivolo e inaffidabile, ma bello, specializzato in scene d’amore, appunto un matinée idol. Le sceneggiature venivano scritte tenendo in mente questi ruoli distinti. Un esempio tipico di matinée idol lo troviamo nel già citato Zangiku Monogatari, nel personaggio dell’attore salvato dal sacrificio della giovane cameriera, personaggio interpretato da Hanayagi Shotaro, il più famoso onnagata, vale a dire un uomo che interpreta un ruolo femminile, vuoi in teatro che al cinema.

Zangiku monogatari
Per identificare Mizoguchi con un matinée idol Sato racconta un celebre episodio. Nel 1925 ebbe una relazione, che si rivelò tempestosa, con una certa Yuriko Ichijo, una yatona, come si diceva a Kyoto, una per metà cameriera e per metà prostituta. Un giorno Yuriko lo ferì con un rasoio alla schiena. L’incidente, riportato dai giornali, causò uno scandalo e Mizoguchi, che stava girando Akai yūki ni terasarete, fu cacciato e sostituito da Genjiro Saegusa. Yuriko fu arrestata e subito rilasciata grazie alla difesa di Mizoguchi. Se ne andò a Tokyo e il regista la seguì temendo che si suicidasse. La rintracciò che faceva la cameriera in un albergo. Si sistemarono in un ryokan, in un quartiere frequentato da artisti. Mizoguchi appariva come un giovane indifeso, senza pretese, puro e bello, di cui le donne potevano innamorarsi, esattamente come un matinée idol. Anche se, a differenza del protagonista di Chikamatsu monogatari, non pensò al doppio suicidio per amore della donna. Un giorno un musicista gli disse: sei troppo giovane per diventare il suo magnaccia, ti conviene tornare al tuo lavoro, la dimenticherai presto. E Mizoguchi, un po’ vigliaccamente, seguì il suo consiglio. Yuriko, che non poteva permettersi il ryokan, tornò a prostituirsi da qualche parte. Per anni il regista si vantò di quella ferita, quasi fosse l’emblema della sua aderenza allo spirito femminile. Diceva: Non puoi capire le donne se non hai una come questa, alludendo alla cicatrice.
Chikamatsu monogatari
3.
Il metodo Mizoguchi. L’attore viene prima. Normalmente un regista inizia a impostare una scena elaborando una sorta di découpage, suddividendola in inquadrature (primo piano, campo lungo ecc.), con relativi tempi e movimenti, al quale poi si adeguano attori e tecnici. Il metodo Mizoguchi inizia invece dall’attore. Una volta costruito o definito il set, l’attore comincia a provare e solo dopo si decide la lunghezza delle inquadrature o le migliori posizioni della macchina da presa. Mentre l’attore prova, Mizoguchi consente infatti anche al cameraman di fare le sue prove, cercando la migliore interazione con l’attore, diventando, come quest’ultimo, parte attiva del processo creativo. All’attore Mizoguchi non dà, come si è detto, alcuna indicazione su come interpretare un certo personaggio o recitare una certa scena. Devi immedesimarti con i sentimenti del personaggio, diceva all’attore, e recitare di conseguenza, col corpo e col cuore, devi diventare l’incarnazione delle emozioni del personaggio. Lo racconta molto bene in una intervista del 2013 Kyoko Kagawa, splendida interprete di Osan in Chikamatsu monogatari. Talvolta spingeva l’attore a documentarsi con libri ed altro, come ricorda Kinuyo Tanaka, sua attrice feticcio, a proposito del primo film con Mizoguchi, Naniwa onna, per il quale la spinse a leggere libri tecnici sul bunraku, vedere spettacoli e immergersi in quella atmosfera. Questa impostazione implicava prove lunghe ed estenuanti e quelli che non reggevano questo trattamento, come si è già detto, venivano licenziati. All’attore che chiedeva lumi, egli rispondeva con la stessa domanda: stai riflettendo? Questo metteva pressione sull’attore e lo spingeva a dare il meglio di sé.
Kinuyo Tanaka in Saikaku ichidai onna
A partire da questa impostazione che privilegiava la performance dell’attore, derivavano altre scelte tecniche, innanzitutto il piano sequenza o comunque le inquadrature lunghe. Nel momento in cui l’interprete raggiunge la giusta espressione delle emozioni, è bene dargli il tempo di esprimerla, prolungarla perfino quando è possibile. Suddividerla in varie inquadrature significherebbe distruggerla. Consequenziale a questa, un’altra scelta, la profondità di campo, quindi l’uso degli obiettivi grandangolari. Questo è un punto chiave. Mizoguchi dava grande importanza all’interazione tra gli attori, per cui in una scena a due cercava di tenere in campo entrambi gli attori o comunque di far sentire la presenza dell’altro appena fuori campo. Sosteneva che recitare da solo è diverso dal recitare alla presenza dell’altro. In questo contesto era escluso l’uso dei primi piani. Per altro verso, proprio a causa di tutte queste scelte, il montaggio perdeva di importanza. Per realizzare queste inquadrature lunghe usava spesso la gru (dolly), in alcuni film per il settantacinque per cento del tempo. La gru gli consentiva di (in)seguire l’attore o gli attori più facilmente per creare delle sequenze di grande eleganza articolando i vari piani del décor e governando sapientemente le entrate e le uscite di campo (qui siamo molto vicini alla pittura su rotolo). Era questo il punto di arrivo del lungo lavoro di prove del cameraman, e infatti Tadao Sato non esita ad attribuirlo a Kazuo Miyagawa. Il cui lavoro sulla fotografia in bianco e nero, va detto, merita una menzione speciale. (Per inciso, sembra che si debba a Miyazawa l’invenzione della tecnica del salto della sbianca (nella stampa a colori un procedimento che trattiene elementi dell’immagine del bianco e nero aggiungendoli all’immagine a colori, ottenendo più contrasto e meno saturazione del colore), approdata anche da noi alla fine degli anni Settanta allo stabilimento della Technicolor di Roma con il tecnico Ernesto Novelli e il direttore della fotografia Vittorio Storaro, forse con una formulazione diversa. Il mio film
Le occasioni di Rosa è stato stampato con questa tecnica.)

Un altro collaboratore di rilievo di Mizoguchi è stato lo scenografo Hiroshi Mizutani, che ha disegnato i set di molti suoi film. Mizutani costruiva i set come una scena teatrale, il che spesso poneva dei problemi a Niyagawa. Mizoguchi non era abituato a discutere con lo scenografo quando iniziava la preparazione, né dava un’occhiata ai piani che il tecnico gli sottoponeva o faceva delle ispezioni sul set. Ma quando il lavoro era terminato, avanzava richieste a volte irragionevoli. Col tempo, comprendendo lo stile di lavoro del regista, Mizutani veniva incontro alle sue aspettative allestendo bellissimi set. Anche in questo caso Mizoguchi faceva suo il lavoro di un tecnico senza intervenire nel processo.

Nel documentario di Kaneto Shindo vi sono varie testimonianze di una sorta di disinteresse di Mizoguchi verso il lavoro dei suoi collaboratori, cui in parte ho accennato sopra. Nel recensire il DVD Criterion di Ugetsu, nel cui pacchetto era compreso il film di Shindo, la redattrice della rivista Cinéaste Catherine Russell scriveva: “ A quanto pare il grande regista non ha mai guardato in macchina o ha contribuito al disegno delle luci; ha maltrattato gli attori senza mai dirigerli; ha riscritto la sceneggiatura su base quotidiana; delegava tutte le ricerche e la pianificazione delle scenografie, insistendo sulle modifiche solo dopo che tutto era stato costruito e delegava tutte le decisioni sulla magnifica colonna sonora al compositore e ai suoi assistenti alla regia.” E si chiedeva stupita come mai, malgrado ciò, Mizoguchi abbia ottenuto risultati così alti come in Ugetsu, premiato alla Mostra di Venezia con il Leone d’argento nel 1953. Al di là delle evidenti esagerazioni di alcune testimonianze, la risposta ce la offre Tadao Sato con parole precise, pienamente condivisibili: “La regia di Mizoguchi era caratterizzata dall’abilità di attingere alle idee dei membri della sua troupe e di cristallizzarle nella propria visione composita.”

Kinuyo Tanaka e Kenji Mizoguchi a Venezia
4. Mizoguchi e il realismo. La prima fase del cinema giapponese è caratterizzata da due elementi assenti nelle altre cinematografie, vale a dire il benshi e l’onnagata. Il benshi era un commentatore che, collocato ai lati dello schermo, raccontava lo svolgimento dell’azione e interpretava le situazioni e i personaggi dei film muti. Di derivazione teatrale, in particolare dal Bunraku, l’esistenza del benshi testimonia l'alto grado di opacità che doveva avere, per il pubblico indigeno, lo spettacolo cinematografico: un'opacità che esigeva la traduzione del senso ignoto delle immagini nel codice più formalizzato e più accessibile, e cioè la lingua. La figura del benshi assunse un grande rilievo, alcuni di essi divennero molto popolari e quando il cinema muto tramontò, provarono a resistere ma ovviamente fallirono.

Gli onnagata sono attori di sesso maschile che interpretano ruoli femminili. Il loro uso nel cinema deriva dal kabuki, dove è istituzionalizzato. Gli onnagata posseggono tecniche specifiche, assai sofisticate, anch’esse derivate dal teatro. Diversi onnagata hanno raggiunto una vasta popolarità e quando questa pratica è stata dismessa, spesso gli onnagata si sono trasformati in matinée idol, cioè, come abbiamo visto, in attori di ruoli romantici. La fine degli onnagata e del benshi, che coincide più o meno con la fine del cinema muto, apre il cinema giapponese al realismo. Si tratta sempre comunque di elementi realistici innestati nella forma del melodramma tradizionale, spesso shimpa film, tratti da copioni di questa forma di rinnovamento del kabuki.

Il realismo come idea di poetica fa parte della visione del cinema che ha Mizoguchi, come ci attestano le poche dichiarazioni sul tema. Essa si esprime in vari tentativi ma emerge più chiaramente nel 1936 con Naniwa ereji e Gion no kyodai e prosegue poi negli anni. Ma in realtà l’istanza realistica nel suo cinema è innestata come uno degli elementi che concorrono a un complesso processo di formalizzazione sovradeterminato dalle pratiche artistiche tradizionali, in particolare il teatro e la pittura; come ho cercato di dimostrare in un mio saggio del 1972, La pratica formale in Kenji Mizoguchi, composto dopo la visione di una retrospettiva di dieci film presso l’Istituto Giapponese di Cultura di Roma nella primavera del 1971.

Tuttavia l’istanza realistica risuona costantemente nel cinema del maestro, emergendo anche nei jidai-geki (film storici) oltre che nei gendai-geki (film di ambientazione contemporanea). Un esempio dei primi è Sansho dayu del 1954. Basato su un racconto di Ogai Mori, a sua volta ispirato a un “folk tale” buddista di tradizione orale. Mizoguchi e il suo sceneggiatore Yoshikata Yoda sottraggono alla storia buona parte dei risvolti leggendari e religiosi per conferire al film un carattere di realismo storico dentro il quale si esalta la denuncia della pratica della schiavitù nel Giappone medievale. Questa impostazione, molto cara a Mizoguchi, non contrasta col fatto che il film è uno dei più formalizzati, uno di quelli in cui lo stile maturo di Mizoguchi, ricco di risonanze teatrali e pittoriche, si manifesta esemplarmente.

Sansho dayu
In maniera più esplicita emerge l’istanza realistica in un gendai-geki, Akasen chitai, del 1956, ultimo film del regista, sul quale mi voglio soffermare. Tratto in parte da un romanzo della scrittrice Yoshiko Shibaki, sceneggiatura di Masashige Narusawa, e ambientato a Tokyo, nel distretto Yoshiwara, il distretto a luci rosse (il titolo originale vuol dire appunto “distretto a luci rosse”, laddove in occidente il film è stato distribuito con il moralistico titolo di The street of shame, La strada della vergogna), il film incorpora nella finzione un elemento di stretta attualità politica, vale a dire la discussione al parlamento giapponese di una legge che aboliva la prostituzione, e cioè le case chiuse. Si da il caso che due mesi dopo l’uscita del film la legge fu approvata e poiché il film aveva avuto un grande successo, si disse che aveva contribuito a questa approvazione. Nella finzione, invece, la legge viene respinta, con grande gioia dei tenutari. In effetti il film si presenta come una sorta di studio sociologico sulla miseria della condizione femminile all’interno di una casa chiusa, cioè di un bordello. Mizoguchi ritorna su una tematica già in parte affrontata in passato, in un contesto, quello del bordello, che egli ben conosceva per esserne stato un frequentatore abituale. Il tono è da commedia drammatica, con punte fortemente drammatiche. Il film è pieno di elementi dal forte realismo, nulla viene nascosto della violenza e dello squallore della vita in una casa chiusa.

Sono cinque le protagoniste di questo film corale e il loro destino è quasi sempre fallimentare. Yumeko è una vedova che si è prostituita per crescere il figlio, ma quest’ultimo, una volta diventato adulto, si vergogna a tal punto da ripudiarla. Lei, per la delusione, impazzisce. Yorie va sposa al gestore di un negozio di zoccoli ma scopre che il marito voleva soltanto una cameriera e una lavorante a buon mercato, per cui ritorna al bordello. Non meno triste è la storia di Hanae, che si prostituisce per sostentare il marito gravemente malato e il figlioletto. A un certo punto vengono sfrattati e lei è costretta a fare ulteriori debiti per andare avanti. E’ la coppia di gestori del bordello (il cui nome è ironicamente Dreamland!) a praticare i prestiti usurari, che finiscono per tenere vincolate le donne. L’unica a cavarsela è la furba Yasumi, che sfrutta gli aspiranti fidanzati per farsi consegnare ingenti somme e pratica anche lei il prestito usurario. Sfruttando la credulità del proprietario di un negozio di futon, ne rileva il controllo e può uscire dal bordello e mettersi in proprio.

Anomalo è il quinto personaggio, Mickey (il soprannome è quello del personaggio di Disney che da noi è Topolino), interpretato splendidamente da Machiko Kyo, che in Ugetsu interpretava la donna-fantasma che seduceva il vasaio. Questa giovane donna, completamente occidentalizzata, si è fatta prostituta per ribellarsi all’ipocrisia del padre borghese. Mickey è protagonista di almeno due magnifiche sequenze. La prima, esilarante, è il suo ingresso nella casa accompagnata da un magnaccia. Si guarda intorno, si mette a ballare cantando: “Sono io la nuova Venere”. Poi vede un uomo, lo afferra per portarselo a letto, ma scopre subito che è un inserviente della casa. 

Machiko Kyo in Akasen chitai
La seconda è ben più drammatica. Il padre viene a trovarla annunciando che la madre è morta e che lui si è risposato. Poiché a Kobe, dove vivono, si è risaputo che lei fa la prostituta, egli pretende che la ragazza ritorni per ristabilire la facciata in modo da consentire alla sorella un buon matrimonio e al fratello un buon impiego. Per tutta risposta la ragazza lo trascina a letto: “Compra il corpo della figlia di un uomo d’affari: 1500 yen. L’ultimo grido in fatto di depravazione.” Il padre si sottrae disgustato e lei lo caccia, per commentare infine: “Un melodramma disgustoso. Vado a farmi un bagno e a vedere un film con Marilyn.” Al di là della pregnanza narrativa, della forza drammatica della provocazione della ragazza, su un altro piano tutto il personaggio di Mickey è di carattere metalinguistico, ci segnala che si tratta di un film, che siamo dentro il gioco del cinema.
Akasen chitai
E cioè già nella dimensione formale del film. Ambientato quasi interamente in interni e per gran parte nel bordello, in spazi stretti affastellati di oggetti a rendere forse il senso di soffocamento di quelle vite (lo scenografo è un abituale collaboratore di Mizoguchi, Hiroshi Mizutani), il film non offre al regista e al suo direttore della fotografia Kazuo Miyagawa la possibilità di utilizzare quegli elementi di linguaggio che li avevano resi famosi anche in Occidente. E tuttavia Miyagawa muove la macchina da presa con una tale efficacia ed eleganza, con movimenti ora veloci ora lenti, giocando sulle entrate e le uscite di campo, sfruttando gli elementi del décor per sottolineare i rapporti tra i personaggi, aderendo pienamente al gioco della storia ma al tempo stesso fungendone da sguardo esterno. Insomma la macchina da presa diventa quasi un personaggio del film in quanto puro sguardo. Si aggiunga una stranissima musica, di tipo elettronico, firmata da Toshiro Mayuzumi, spesso giocata a contrasto con le immagini, rispetto alle quali non è mai davvero a commento. Insomma siamo ancora una volta di fronte a un’opera che, pur inglobando un’autentica istanza realistica, si presenta anch’essa come fortemente formalizzata.

Akasen chitai ha una conclusione toccante. E’ arrivata al bordello Shizuko, una ragazza ancora molto giovane, quasi un’adolescente. La truccano perché sembri più bella. Deve prostituirsi per mandare soldi alla madre. E’ Mickey che la conforta. “Non ci si può fare nulla”, le dice, “ma non lasciare che questo ti rattristi troppo. Tante ragazze lo fanno gratis, quelle sceme. Forza, guarda come faccio io.” Shizuko osserva lei e le altre, osserva come fanno ad attirare i clienti, poi, mezzo nascosta dalla porta (e da qui Miyazawa inquadra in primo piano), con un’espressione tra il timido e lo spaventato, abbozza anche lei un richiamo, timidissimo: “Ehi…” Ma poi, come intimorita dalla sua stessa voce, si ritira dietro la porta e su questo primo piano, tenerissimo e terribile, un fondu al nero chiude il film. A dimostrazione del fatto che ha un fondamento l’aver accreditato al cinema di Mizoguchi anche un carattere di “realismo umanistico”.

Yasuko Kawakami in Akasen chitai

Libri, saggi e film citati

- Tadao Sato, Kenji Mizoguchi and the Art of Japanese Cinema, Berg Publishers, Oxford – New York

- Catherine Russell, DVD Reviews: Ugetsu, Cinéaste, Vol. 31, No. 3 (Summer 2006)

- Salvatore Piscicelli, La pratica formale in Kenji Mizoguchi, Cinema Sessanta, n. 87/88, gennaio-aprile 1972 (ristampato in: Salvatore Piscicelli, L’imitazione della vita. Scritti di cinema 1970-2016, Meltemi Editore 2018)

- Aru eiga-kantoku no shōgai Mizoguchi Kenji no kiroku (Kenji Mizoguchi: La vita di un regista di cinema, 1975), scritto, prodotto e diretto da Kanedo Shindo

- Performance, intervista video con Kyoko Kagawa, presente negli “Extras” del DVD Criterion Collection di Sansho dayu