Quest'anno cade il quinto centenario della nascita di Teresa d'Avila o Teresa de Jesus, al secolo Teresa Sánchez de Cepeda Dávila y Ahumada (Avila 1515, Alba de Tormes 1582), santa e prima donna proclamata dottore della chiesa. Ignoro se i cattolici stiano celebrando adeguatamente l'evento; da non credente (grazie a dio sono ateo, come disse una volta, col suo spirito caustico, Luis Buñuel), nutro da molto tempo un amore speciale per questa donna straordinaria e perciò approfitto della circostanza per renderle omaggio.
Teresa mi piace innanzitutto come scrittrice. Consiglio la lettura della Vita (Libro de su vida) e delle Fondazioni (Las fundaciones), testi di carattere più narrativo, il primo autobiografico, il secondo dedicato alla riforma del Carmelo e alla fondazione dei monasteri. Ma non meno straordinari sono i testi di carattere teologico e ascetico, il particolare Las moradas (Le stanze) detto anche El castillo interior (Il castello interiore), dove traccia il percorso dell'anima verso l'unione mistica con Dio. La scrittura di Teresa è spontanea, istintiva, veloce, vicina al parlato, tanto da ignorare spesso le regole dell'ortografia e della sintassi, dunque lontana dalla lingua dei letterati; una scrittura che esprime una voce, e direi quasi un respiro, forte e vivo, e tuttavia una scrittura di grande eleganza e di esattezza espressiva, a dispetto dell'andamento movimentato del flusso espositivo. Nella prosa Teresa rappresenta uno dei vertici della letteratura spagnola del Cinquecento, così come nella poesia occupa un ruolo centrale il suo amico e confratello, e sodale nella riforma carmelitana e nella ricerca mistica, Giovanni della Croce. Una coppia formidabile.
Nel 1999 ho diretto un film intitolato Il corpo dell'anima (tratto da un romanzo omonimo allora inedito e che solo recentemente ho pubblicato in ebook). Narra la storia d'amore, a forti tinte erotiche, tra un anziano scrittore, Ernesto, e la sua giovane, ignorante ma sensualissima cameriera Luana. Ernesto (interpretato da Roberto Herlitzka) sta scrivendo una sceneggiatura sulla vita di Teresa d'Avila e così quest'ultima finisce per diventare un vero personaggio, sebbene assente, l'altro polo femminile per lo scrittore: insomma, qualcuno direbbe, la santa e la puttana. Ma chi ha visto il film sa che le cose sono molto più complicate... Per dare allo spettatore una sorta di correlativo oggettivo di questo personaggio assente, ho filmato l'Estasi di Santa Teresa di Bernini, forse la scultura più famosa del Barocco, quella che per Lacan rappresentava l'emblema stesso del godimento femminile (ma del godimento Altro, sottratto al dominio del Fallo e dunque indicibile, come lo è ogni esperienza mistica). Cito dal romanzo. E' Ernesto che parla, rievocando una visita alla Cappella Cornaro, nella chiesa di Santa Maria della Vittoria, dove è collocata la scultura:
Non c'è dubbio che Bernini riesce a cogliere con assoluta precisione quel momento dell'abbandono estatico, in cui i sensi vengono meno e l'anima fa il vuoto dentro di sé, vi stabilisce un sovrumano silenzio, una quiete perfettissima e così svuotandosi consente a Dio, l'altro da sé, di permearla fin nel profondo.
Questa tecnica del fare il vuoto dentro di sé Teresa l'apprende assai presto, intorno ai ventitré anni, leggendo un libro del francescano Osuna, il Tercer Abecedario (anche se dovrà passare molto tempo prima che divenga rigorosa pratica quotidiana). E' un terreno sul quale si spingerà molto avanti Giovanni della Croce, in un delirio che sfiora il nichilismo. Questo elemento avvicina il misticismo cristiano a quello indù e buddista. Sembrerebbe il tratto universale di ogni forma di misticismo.
Ma in Teresa c'è di più. Questo di più è una forte sensualità, che investe anche l'esperienza mistica. Si potrebbe perfino dire che di quest'ultima l'innata sensualità di Teresa è una delle più prepotenti motivazioni.
Quando, verso i quarant'anni, Teresa si converte, come dice lei, al cammino della perfezione, non è difficile immaginare che dietro questa scelta ci sia anche il primo assaporamento dei piaceri dell'esperienza mistica. Mi riferisco concretamente alle delizie anche fisiche del deliquio, del venir meno dei sensi, dell'abbandono totale; condizione che ben conoscono e apprezzano anche i cultori di un certo tipo di droghe.
In quegli anni Teresa scopre che, nel confronto inevitabile tra lo sposalizio mistico e quello terreno (parallelo quanto mai abusato nella letteratura mistica), anche sul piano del piacere il primo è di gran lunga più allettante del secondo. Immagino che di quest'ultimo abbia avuto davanti agli occhi il modello più vicino a lei, quello della madre Beatriz: dieci figli in diciotto anni di matrimonio, morte prematura a trentatré, e come unici passatempi la lettura dei romanzi cavallereschi, malvista dal marito, e forse qualche chiacchiera con le amiche sedute sull'estrado. Niente a che vedere con la traboccante ricchezza dell'esperienza di vita di Teresa, in termini di piacere e in termini psicologici, per non parlare di quelli sentimentali (si pensi al rapporto, negli ultimi anni, col giovane Jerónimo Gracián, quello che alla sua esumazione le tagliò la mano per tenerla sempre con sé).
Questa capacità tutta positiva e femminile di tendere al piacere e di saperlo apprezzare, è pervadente, investe tutti gli aspetti della sua vita, anche nei dettagli. Confesserà a Giovanni della Croce di provare "molto piacere", nel comunicarsi, quando le ostie sono grandi. Più grande è l'ostia, più lungo e soddisfacente sarà il contatto fisico, orale, col corpo di Cristo. E Giovanni un giorno la mortificò: al momento della distribuzione delle ostie spezzò quella che avrebbe dovuto dare a lei e ne diede una parte a un'altra monaca.
E' il tratto caratteriale che la distingue nettamente dal pur amatissimo Giovanni, al quale rimprovererà in una lettera di essere incapace di accettare le gioie dell'amore di Dio, lui che pure aveva scritto le più belle poesie d'amore spirituale di tutta la letteratura spagnola. Per Teresa, come per Osuna, la felicità e il paradiso vanno cercati in questa vita e non solo in quella futura. Così scompare, o si attenua, la paura dell'inferno, viene meno quell'immaginario di orrori che accompagna il credente. In questo, Teresa è assai poco ortodossa rispetto alla Spagna dell'Inquisizione.
Non vi è dubbio che nella sensualità di Teresa vi sia una componente masochistica, come del resto in ogni forma di sensualità. In un capitolo della Vita dove racconta proprio la visione presa a modello da Bernini per la sua opera, con l'angelo che la trafigge con una lunga freccia d'oro, così scrive: "Il dolore era tale, che mi faceva emettere quei gemiti che dicevo, ma la dolcezza, al tempo stesso, era così sovrabbondante, che l'anima non poteva desiderarne la fine... Non è un dolore fisico ma spirituale: eppure il corpo vi partecipa alquanto, anzi parecchio." Tutta la sua opera è piena di annotazioni simili.
Per anni dovette abbandonarsi al piacere masochistico provocato dalle continue, reiterate mortificazioni corporali. In età più avanzata si correggerà e metterà spesso in guardia le sue monache dai rischi connessi con l'eccesso di queste pratiche, che genera una forma di godimento perverso.
Guardavo il marmo berniniano e mi dicevo che lì la sensualità non sta tanto nell'atteggiamento di Teresa quanto nello stile dell'artista: quelle mani e quei piedi così carnali, quelle labbra così turgide, quei panneggi così vaporosi.
Sono uscito e senza farci troppo caso ho proseguito per via del Quirinale, così mi sono trovato davanti a quell'altro capolavoro del barocco romano, il San Carlino alle Quattro Fontane, progettato da Borromini. Sono entrato e vi ho sostato qualche minuto. Anche in questa chiesa non mettevo piede da anni. Qui lo stile è più spirituale, si verticalizza drammatizzandosi. In effetti, si potrebbe istituire un curioso parallelo tra mistica e stile barocco: a Bernini corrisponderebbe Teresa, a Borromini Giovanni della Croce.
Teresa vive ed opera nella Spagna di Carlo V e di Filippo II, nel paese dove giungono galeoni carichi d'oro dal Nuovo Mondo, la Spagna dell'Inquisizione, dove le lotte per il potere politico si sovrappongono a quelle per il potere religioso, un'epoca di grande splendore e di grandi chiusure. E' su questo sfondo che si svolge la sua vicenda umana, nella quale si intrecciano due dimensioni apparentemente inconciliabili. Da un lato c'è la Teresa che persegue nel silenzio del chiostro il suo dialogo con Dio e lo fa con una tale dedizione da giungere a definire nuove mappe per la ricerca mistica. Dall'altro lato, e contemporaneamente, c'è la Teresa, indomabile e attivissima, che riforma un ordine religioso, tra mille difficoltà e resistenze di ogni tipo, viaggia per tutto il paese e vi fonda numerosi monasteri, dialoga con sovrani, nobildonne e prelati per dare un futuro alle sue comunità. La cosa straordinaria è che questi due aspetti si conciliano perfettamente nella figura storica di Teresa, si fondono in una sola immagine.
Grazie alla sua personalità, Teresa esercitò un enorme fascino sui contemporanei. Sul piano fisico, stando alle testimonianze, era dotata di una certa bellezza. Una sola volta, per ubbidire a un invito di padre Gracián, si fece ritrarre da un pittore, un frate di origine napoletana, Giovanni della Miseria. Aveva allora sessantun anni. Il quadro (vedi l'immagine all'inizio del post) non le piacque. Si racconta che rimproverò amabilmente fra Giovanni perché l'aveva dipinta "brutta e cisposa". Dopo la morte la sua fama continuò a crescere. Il suo stesso corpo fu smembrato per farne reliquie da distribuire in vari luoghi. Cito ancora dal romanzo, dove Ernesto racconta l'esumazione del corpo di Teresa come fosse la scena di un film:
La sequenza è ambientata nel convento del Carmelo di Alba de Tormes, tra Salamanca e Avila. Siamo ai primi di luglio del 1593, nove mesi dopo la morte di Teresa. Nel giardino del chiostro, sotto il sole cocente della Castiglia, due uomini a torso nudo, sudati, hanno appena finito di scavare la gran massa di terra, calce e pietre che ricopre la bara della santa. Sono il padre Gracián, provinciale dell'ordine, e un suo compagno, padre Ribera. Vi hanno lavorato per quattro giorni. Intorno alla fossa sono raccolte una dozzina di monache, tra le quali vi è Juana del Espiritu Santo, priora del convento. E' dietro sua richiesta che il provinciale ha acconsentito all'esumazione, con lo scopo di dare una più degna sepoltura a Teresa. Per evitare interferenze, nessuna persona esterna al convento è stata informata dell'operazione. Dunque, per mezzo di grosse corde, la bara viene tirata su. Sul volto degli astanti si legge la preoccupazione di trovarsi, di lì a poco, davanti a un cadavere putrefatto. Solo Juana sembra fiduciosa nel miracolo. Il padre Gracián apre la bara, tutti allungano il collo per guardare, ma non si scorge granché. La terra ricopre quasi per intero il drappo dorato nel quale era stato avvolto il corpo di Teresa. Juana si inginocchia e, senza mostrare alcun disgusto, infila una mano nel sarcofago ma la ritira quasi subito. Un'ombra di inquietudine le attraversa il volto.
"Il drappo e gli abiti sono completamente ammuffiti," dice.
La bara viene portata via.
E' notte. Siamo nella cella della priora. Juana e altre tre o quattro monache sono inginocchiate intorno al letto, dove è stato deposto il corpo di Teresa, ricoperto da un lenzuolo di tela grezza. Preceduti da un'altra monaca, il padre Gracián e il padre Ribera entrano nella cella. Juana si volta, si alza. Sorride. I suoi occhi sono raggianti di felicità.
"Il corpo è intatto," dice in un soffio. "Come se fosse appena morta."
Il provinciale dei carmelitani si avvicina al letto.
"E quel profumo," aggiunge Juana estasiata, "quell'effluvio di gelsomino e di cannella, che ci accompagna da mesi, da quando la Madre è morta, non lo sentite anche voi, così forte, così soave?"
Padre Gracián tace per un attimo, poi ordina: "Sollevate il lenzuolo."
Dalle maniche del saio viene fuori un coltello. La lama brilla alla luce delle candele. Juana ha un soprassalto.
"Cosa volete fare, padre, con quel coltello?"
"Le reliquie dei santi sono un bene prezioso per i fedeli. Prima di riconsegnare alla terra il corpo della nostra santa Madre, voglio prelevare una mano. Sollevate il lenzuolo."
Juana esita. Il provinciale ripete per la terza volta il suo ordine. E finalmente la priora lo esegue. Il telo viene sollevato. Il padre Gracián guarda quel corpo e il suo volto esprime un solo sentimento: amore.
"Che bei seni!" mormora tra sé. "Sembrano quelli di una fanciulla."
Poi si inginocchia e, come in trance, affonda il coltello nel polso di Teresa. La carne e le ossa, sorprendentemente, non oppongono resistenza. La mano si stacca dal resto del corpo...
Su questa immagine, una voce fuori campo ci informa che il padre Gracián porterà con sé quella mano, chiusa in un sacchetto di cuoio appeso al collo, per tutto il resto della sua vita.
Una scena dal sapore buñueliano, non c'è che dire.
P.S. Se a qualcuno saltasse il ghiribizzo di andare a visitare la Cappella Cornaro, in Santa Maria della Vittoria a Roma, per ammirare la scultura teresiana di Bernini, è bene che, per un po', vi rinunci. Il MIBACT (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) ha deciso di procedere alla ripulitura dell'opera e di tutta la cappella proprio in coincidenza col quinto anniversario della nascita di Teresa d'Avila. I lavori sono stati avviati nel dicembre 2014 e proseguiranno fino a luglio 2015 (per chi ci crede). L'hanno fatto apposta? Quale logica sta dietro a certe scelte? Misteri della burocrazia italiana.