La piccola chiesa che si intravede dietro il verde degli alberi, soffocata dalle propaggini sud-orientali della stazione Termini, lungo via Giolitti, nel quartiere Esquilino, è intitolata a Santa Bibiana, martire cristiana del IV secolo d. c. Al di là delle modeste apparenze, questo edificio religioso rappresenta una sorta di incunabolo del barocco romano.
Quest’area era nota nell’antichità come Horti Liciniani in quanto vi sorgeva un complesso di edifici, con parchi e bagni, appartenenti al colto imperatore Licinio Egnazio Gallieno, amico di Plotino, che regnò dal 253 al 268, prima col padre Valeriano e poi da solo. Secondo il Liber Pontificalis, papa Simplicio nel 468 fece erigere proprio in quest’area una chiesa dedicata alla martire, ma un’antica tradizione sposta la costruzione a circa un secolo prima, 363, ad opera della matrona romana Olimpina. Nel 1224 papa Onorio III restaurò l’edificio, annettendovi un monastero femminile, poi soppresso e demolito. Nel 1624, a seguito del rinvenimento delle reliquie della santa, papa Urbano VIII Barberini ordinò un rifacimento della chiesa e affidò l’incarico a Gian Lorenzo Bernini, all’epoca ventiseienne. Ecco come doveva apparire la chiesa nel Seicento, a dar fede a una stampa di Giovan Battista Falda del 1669.
Quando mette mano al progetto, per quella che a tutti gli effetti era la sua prima commissione come architetto, Bernini, a dispetto della giovane età, è già uno scultore affermato, e basterebbe citare le opere che scolpì per il cardinale Scipione Borghese dal 1618 al 1625: Enea, Anchise e Ascanio, Il ratto di Proserpina, il David, Apollo e Dafne. Ma come architetto era ai primi vagiti, e sappiamo che gli ci vollero degli anni per acquisire sicurezza in quest’arte.
L’intervento più significativo fu la costruzione della facciata. Per quanto riguarda l’interno, l’artista lasciò intatta la struttura antica della chiesa, con le belle colonne di spoglio provenienti da diversi edifici dell’antichità. Chiuse le finestre della navata centrale, aprì due cappelle in fondo alle navate laterali e infine eliminò l’abside costruendo un nuovo presbiterio, dove in una nicchia collocò la sua statua della santa.
E’ una facciata a portico quella di Santa Bibiana. L’ordine inferiore presenta tre archi separati da pilastri con lesene a capitello ionico, quello superiore è ugualmente tripartito, con due finestre laterali ma con un’edicola centrale (che è il vero elemento di spicco della facciata), aperta a loggia, dove sono accentuati i pilastri, i piedritti, che reggono la trabeazione del timpano, con l’effetto di staccarla dalla superficie e di conferirle un moto verticalizzante. E’ un modulo, questo della facciata a portico, che appartiene a un preciso filone classico-manieristico. Si pensi alla facciata della Basilica di Santa Francesca Romana di Carlo Lombardi (1615) o, qualche anno dopo Santa Bibiana, alle facciate di San Gregorio al Celio e di Santa Caterina a Magnanapoli, entrambe di Giovan Battista Soria.
Ecco come la descrivono Maurizio e Marcello Fagiolo dell’Arco: “La facciata-portico è una scatola volumetrica semplicissima, compatta, squadrata. Non ha la presunzione d’una chiesa, ma vuole atteggiarsi come un casino suburbano di villa signorile. L’unico accento ecclesiastico è l’edicola centrale che si trasforma in loggetta delle benedizioni: ma senza pretese, senza sfarzo. Una stereometria silenziosa, fondata sulle basi serene di un classicismo romano-rinascimentale. E pensare che proprio negli stessi anni Bernini lavorava al trionfale Baldacchino di San Pietro, il frontespizio dell’architettura barocca!”
I giudizi degli storici dell’arte non concordano. Al parere nettamente negativo di Paolo Portoghesi (“un’opera debole e irrisolta”) e di Anthony Blunt (“una secchezza di trattamento sorprendente per un virtuoso della scultura”) fa eco quello positivo di Rudolf Wittkower (“un nuovo, ardito ed individuale punto di partenza”). Più sfumato quello di Cesare Brandi: “…rispetto all’architettura manieristica c’è anzi una riattivazione, sia pure misurata, dello scaglionamento prospettico…” Con riferimento specifico al trattamento dell’edicola centrale. E quello di Maurizio e Marcello Fagiolo dell’Arco (“in questo incunabolo dell’arte berniniana, vibra qualche fremito lineare e strutturale”).
La statua di Santa Bibiana
All’interno, come s’è detto, Bernini opera pochi interventi, il principale dei quali è il nuovo presbiterio, una sorta di arco trionfale anch’esso di impostazione classica, con la nicchia che ospita la statua della santa. Qui apre una lunetta il cui effetto è un controluce che si riverbera sulla scultura.
Questa statua è la prima opera pubblica di soggetto sacro dell’artista. A dimostrazione del prestigio raggiunto come scultore, Bernini ricevette un compenso di 600 scudi, più del doppio di quanto gli era stato pagato da Scipione Borghese per il David. La santa, con un braccio posato sulla colonna del martirio, è colta in un momento di rapimento estatico, con la mano destra sollevata e un accenno di movimento della gamba destra mentre con l’altra mano regge la palma, simbolo del martirio.
Il modello iconografico del volto (sguardo rivolto al cielo, bocca appena socchiusa) viene dai celebri dipinti di sante di Guido Reni, uno standard per il Seicento. Qui l’espressione della santa ha un che di pacato e di sereno, quasi di fiduciosa attesa, come se la sua visione fosse già oltre il martirio. E si noterà la differenza con altri due capolavori più tardivi, l’Estasi di Santa Teresa in Santa Maria della Vittoria (1645-1652) e l’Estasi della Beata Ludovica Albertoni in San Francesco a Ripa (1671-1674), di soggetto analogo, dove la soluzione espressiva è, giustamente, assai più drammatica.
Una statua drappeggiata richiede da parte dell’esecutore una competenza di alto livello e Bernini si dimostra perfettamente attrezzato al compito. Il panneggio ha una grande evidenza naturalistica, è ricco di sottigliezze, con straordinari effetti di luminismo pittorico. Le pieghe, arriva a scrivere Brandi, “costituiscono un partito plastico autonomo e quasi non hanno più a che fare con la configurazione del corpo sottostante.” Altre volte Bernini utilizzerà il drappeggio in chiave espressiva e quasi narrativa, ma qui l’esecuzione non è inferiore a quella di altri capolavori (vedi sopra). Scrisse il figlio Domenico nella biografia dedicata al padre: “...di questa sua opera si pregiò poi sempre in modo il Bernino anche nella sua più provetta età, che fu solito dire, Non haver’esso fatta quella Statua, ma la Santa medesima essersi da sé medesima scolpita, et impressa in quel marmo.”
E’ da sottolineare un dettaglio, una finissima natura morta di erbe ai piedi della santa. Qui sarebbe da individuare l’apporto di uno dei principali collaboratori di Bernini, il carrarese Giuliano Finelli, scultore dotato di grande abilità tecnica. In quegli stessi anni Finelli collaborò all’esecuzione di Apollo e Dafne, proprio per le parti del fogliame, di più ardua difficoltà. Nel 1629 Finelli ruppe con Bernini e iniziò una carriera da indipendente: tra i motivi addotti fu anche il mancato riconoscimento dell’importante ruolo svolto nell’esecuzione di quel gruppo marmoreo. Su questa, come su altre vicende simili (vedi la rottura con Borromini), si può leggere con profitto la monografia dello studioso americano, ed ex gesuita, Franco Mormando (Bernini, his life and his Rome, 2011), dove viene documentato il lato oscuro della personalità e delle vicende biografiche del grande artista e smontato l’alone agiografico che da sempre, a partire dalla biografia del figlio Domenico, ha circondato la sua figura.
Gli affreschi di Pietro da Cortona
Ma Santa Bibiana ci riserva un’altra sorpresa, e cioè la presenza di un’opera pittorica di un altro grande protagonista del barocco romano, Pietro da Cortona. La decorazione pittorica della chiesa era stata affidata ad Agostino Ciampelli, che peraltro era cognato di Bernini. Fiorentino, Ciampelli, già alla soglia dei sessanta, era legato alla tradizione controriformistica, propugnatore di una pittura di tipo devozionale ormai superata. Egli, con altri della sua scuola, affrescò la parete destra della navata centrale con scene della vita della santa. Per la parete sinistra, sempre con scene della vita della santa, fu chiamato successivamente il giovane Pietro da Cortona.
Pietro Berrettini (detto da Cortona) si era trasferito a Roma dalla natia cittadina toscana nel 1612, all’età di quindici anni. Qui si formò studiando i monumenti antichi e la pittura coeva di Guercino, Lanfranco, Rubens. Grazie al mecenatismo dei fratelli Sacchetti, ebbe modo già a partire dal 1920 di farsi notare nell’ambiente cardinalizio. Si impose poi anche come architetto (ricordiamo la chiesa dei santi Luca e Martina ai Fori o Santa Maria della Pace), ma si considerò sempre innanzitutto un pittore.
Gli affreschi di Pietro da Cortona |
Prima che a Santa Bibiana, Pietro aveva avuto modo di misurarsi con la tecnica dell’affresco nella Villa Muti a Frascati e, tra il 1622 e il 1623, nella galleria di Palazzo Mattei. Ma sono gli affreschi di santa Bibiana a costituire il primo punto di maturazione di “uno stile virile, audace e vivo” (Wittkower). Il dinamismo delle figure, la costruzione drammatica della scena, gli effetti di chiaroscuro, l’attenzione allo sfondo antico e ai dettagli: sono tutti elementi che saltano agli occhi, e lasciano intravedere un futuro, ancor più vigoroso sviluppo del suo stile.
Gli affreschi di Agostino Ciampelli |
E’ di Pietro da Cortona anche la tela con Santa Dafrosa nella cappella in fondo alla navata sinistra.
Di lì a qualche anno, a partire dal 1633, Pietro realizzerà l’opera cardine della pittura barocca, l’enorme straordinario affresco del salone di Palazzo Barberini, il Trionfo della Divina Provvidenza, imponendosi, con Bernini e Borromini, come uno dei grandi protagonisti del barocco romano.
Libri citati:
Paolo Portoghesi, Roma barocca, 1966
Maurizio e Marcello Fagiolo dell'Arco, Bernini, una introduzione al gran teatro del barocco, 1967
Cesare Brandi, La prima architettura barocca, 1970
Rudolf Wittkower, Arte e architettura in Italia. 1600-1750, 1972
Anthony Blunt, Baroque and Rococo. Architecture and Decoration, 1978
Franco Mormando, Bernini: his life and his Rome, 2011
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