mercoledì 4 marzo 2015

Inherent Vice

Era da molto tempo che non mi divertivo così tanto al cinema. Inherent Vice di Paul Thomas Anderson (Vizio di Forma in Italia) è pieno zeppo di trovate e di battute formidabili, puro piacere, come farsi un joint di buona erba e ridersela del mondo. Questa è la prima cosa da dire.

Come il romanzo di Thomas Pynchon da cui è tratto, il film è un omaggio ai noir di Hammet e Chandler. In quelle trame intricate e confuse (viene in mente il groviglio o garbuglio di Gadda) si rifletteva l'immagine di un'America complicata, contraddittoria, indecifrabile. Anderson espande ulteriormente questo modello e lo fa esplodere, sfruttando l'immaginazione dissacratoria di Pynchon. Ma dentro questo vortice prende forma una riflessione tagliente sulla politica e sulla storia, oltre che sul linguaggio.

Inherent Vice rievoca con sommo divertimento e gusto dei dettagli la controcultura hippy (e non solo) americana, californiana in specie, degli anni sessanta. Lo fa con una certa sacrosanta nostalgia ma anche interrogandosi, appunto, su quel vizio intrinseco che ne ha decretato lo stravolgimento becero prima, e il fallimento poi, di fronte alla controparte rappresentata dai potenti, dagli speculatori, dai razzisti, dai poliziotti eccetera.

Il fatto è che tra cultura dominante e controcultura viene a crearsi, da un certo momento in poi, più di un legame, più di una consonanza, le due parti cominciano a confondersi. Doc Sportello e il poliziotto "Bigfoot" si somigliano più di quanto siamo disposti ad ammettere, anche se noi, è ovvio, continuiamo a preferire Doc. Così la fricchettona Shasta si innamora di un palazzinaro, il cazzuto Bigfoot è messo in riga dalla moglie, lo strafatto Doc rinuncia a un bel gruzzolo per far sì che si ricomponga una famigliola felice e disintossicata; e così via. Le parti si rovesciano in continuazione, nulla è quel che sembra. E' la paranoia, paradigma dell'America. Ieri come oggi.

Questo ci racconta Il film, e il romanzo prima del film. Si credeva che il mondo potesse cambiare in meglio e invece succede il contrario. E' accaduto in America, è accaduto da noi. Il perché è difficile da spiegare, e comunque la risposta non può essere univoca.

Ma né Anderson né Pynchon ci invitano al catastrofismo. Le belle stagioni possono ritornare, ritornano, e in ogni caso occorre sempre provarci.

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